martedì 4 ottobre 2011

Gadget e nuvole

Uno degli aspetti positivi di lavorare in una grossa multinazionale è poter usufurire di alcune attività di training in stile molto yankee che coniugano la formazione metodologica e la creazione di un sentimento di mission aziendale molto identitario.
Devo ammettere che possibilità del genere permettono, principalmente, di fare gruppo con altri personaggi che dal totale anonimato piombano nella tua vita perchè costretti a perseguire obiettivi comuni. L'esperienza alla fine dei conti è piacevole.
Tra le parti imperdibili dei corsi, la consegna dei gadget è però quella che genera il massimo coinvolgimento. Ricchi consulenti farebbero a manate per accaparrarsi la chiavetta USB da 512 MB con il nome dell'azienda, il blocchetto di appunti brandizzato o l'esclusivo cordone portabadge. E quando c'è di mezzo il gadget, non farne incetta è sempre una sconfitta. O molti gadget o morte.

Nell'ultima occasione che mi è capitata, avevo subito adocchiato la polo che gli istruttori sfoggiavano, tinta delle colorite sfumature aziendali. "Deve essere mia", ho pensato con la bava alla bocca. Al primo coffee break, ero già al desk a chiedere se ce ne fossero disponibili, domanda alla quale mi è stato risposto in maniera insoddisfacente (i.e. non me ne sono andato via con la polo addosso).
Al secondo giorno di training, gli istruttori hanno annunciato a sorpresa la possibilità di avere le magliette, facendone opportuna richiesta su taglia e colore alle segretarie del corso. Sulla taglia S non avevo dubbi (le spalle non mi hanno mai tradito), sul colore ho invece optato entusiasticamente per l'arancione-brillante-operaio-del-cantiere-stradale, per uscire dal dualismo blu/beige che contraddistingue il mio guardaroba. Finalmente un gadget aziendale di livello, da sfoggiare in circostanze adeguate (la vendemmia, per esempio, o la pulizia della soffitta).
Così, un paio di settimane più tardi, mi è arrivata una mail sulla posta aziendale, qualcosa del tipo "C'è un pacco per te". Eccitazione. Passo dalla sede prima di andare dal Cliente sfiammellando con Giuliano (il mio motorino).
Ritiro il pacco dall'ufficio posta. Lo palpo. Il tatto non mente. E' una polo, sicuramente. E' lei.
Strappo la parte superiore... butto l'occhio dentro. Sbircio. E' rossa. Brandendo la busta, comincio a lamentarmi e a sfogare la mia amarezza parlando tra me e me mentre butto il pacco nello zaino. Partendo da... "ma io avevo richiesto quella arancione", comincio a congetturare nel mio intimo, favoleggiando su dettagli inverosimili riguardo alla priorità che mi sarebbe stata dovuta per via della rapidità della richiesta e amenità del genere, spingendomi su ampie considerazioni sull'incapacità di alcune persone a eseguire le operazioni più semplici. Pensieri che a posteriori giudico di una meschinità senza precedenti.

Quando la sera torno a casa, recupero la busta dallo zaino e tiro completamente fuori la polo. La guardo di nuovo.
Ed ecco che d'improvviso la semplicità di un messaggio anonimo su un post-it mi fa capire che non sempre è la cialtroneria a guidare le persone, che a questo mondo non esistono solo fole di idioti e che a volte ci sono cause maggiori per cui tanti non sono dei colpevoli, ma -come me- delle vittime.


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