Ascolto la musica e penso a te.
A tutte le volte che la sparavi forte dalla mansarda. Buffo. Se la mettevamo noi dal piccolo stereo delle nostre camere pioveva una grandine di urla e ci dicevi di abbassare, minacciando che saremmo diventate sorde (nel mio caso forse avevi ragione). Mi ricordo ancora quando mi trinceravo nella mia stanza quindicenne con le coppe, i peluche e i Nirvana ed entravi all'improvviso urlando di spegnere quel troiaio. E poi tu, dal tuo stereo potentissimo con così tante casse che da piccola non sono mai riuscita a far funzionare contemporaneamente, mettevi la tua musica a tutto volume, che non solo si sentiva da tutta la casa, ma anche dal giardino.
Una collina di Baroncelli sonora. Un ingorgo sonoro di Bagno a Ripoli.
Era perché non lo volevi dire a chiare lettere, per non sembrare meno forte, ma volevi segnalare, a modo tuo, che eri di buon umore. Ad averlo capito prima, ne avrei approfittato...
Ieri notte ti ho sentito. Facevi piano, forse per non svegliarmi, come quando venivi in camera mia, quando ero piccola, la notte di capodanno, per bagnarmi le labbra con lo spumante. Secco. Quello dolce non lo hai mai sopportato, come non lo sopporto io.
Pensavi che non ti sentissi, ma ti sentivo eccome. Così, allo stesso modo, è successo ieri.
Lo so che facevi piano perché non volevi che me ne accorgessi. Perché pensi che debba camminare da sola. Perché non vuoi far vedere che mi segui.
Mi sono messa la mano sulla spalla e ti ho fregato. Ho sentito la tua. E ha stretto la mia spalla.
Mi dice che sono forte.
E non ho più paura di nulla.