sabato 13 febbraio 2010

La realtà delle cose


Dopo tanti anni di fidanzamento, io e Saschia ci conosciamo molto bene. Non sarei tuttavia sicuro di lanciarmi nell’avventura matrimoniale se lei non mi avesse mai visto dal vivo allo stadio per almeno una dozzina di partite. Rimanga tra noi, ma questo è uno dei motivi per cui le ho regalato un abbonamento in passato, incorrendo nel biasimo della maggior parte degli amici.
Nel caso di un monomaniaco calcistico come me, malattia alla quale si è recentemente affiancata una necessità di saldare riferimenti identitari per via dell’esilio milanese, lo stadio rappresenta un ambiente conoscitivo ideale per il futuro coniuge. I nervi si scoprono e con essi la trama dell’animo umano, che mostra i propri connotati più ferini.

Era giusto che Saschia sapesse. Le avevo già raccontato in passato del mio concetto di calcio come esperienza catartica ma non potrei giurare che avesse capito. E’ una reazione comune. Quando parlo con la luce negli occhi di:
  • seggiolini divelti
  • cassonetti incendiati
  • l’odore fumoso e pungente dei fumogeni (“Mi piace l’odore dei fumogeni, la sera…”)
  • quello scarabeo bianco che scorrazzava impennando sotto la fiesole (fiorentina-juventus 1-0, Oliveira che crossa dalla trequarti, Batistuta che salta 40 cm più di Montero, la palla si insacca e lui che esulta suonando la chitarra, seguono cori irriguardosi nei confronti di marcello lippi)
  • rotolare per 20m giù dalle gradinate della fiesole per un gol di edmundo sotto il diluvio (Fiorentina Udinese 1-0, al 90’ Edmundo-Rui Costa che chiude il triangolo-Edmundo che si ferma un istante per guardare il portiere avversario e lo trafigge con un bolide all’incrocio, poi chissà che è successo io sono volato di sotto e la gente cantava anche sui motorini, in mezzo al traffico del ritorno)
…insomma quando faccio una lista dei motivi per cui valeva la pena andare allo stadio, la gente mi guarda strano, forse interrogandosi sulla contraddizione tra una persona apparentemente posata e uno spirito da ultras anni ‘70. D’altra parte, faccio notare che alcune ipotesi su Jack lo Squartatore lo dipingono come membro della famiglia reale inglese. A scanso di equivoci, sia chiaro che non voglio che le persone si facciano male, semplicemente preferisco che l’esperienza “stadio” non sia una festa. Il calcio non può esserlo, essendo invero una questione molto seria. Forse se la Fiorentina fosse una squadra vincente, la penserei diversamente. La capacità di sofferenza maturata in questi anni (pochissime gioie, sempre) mi rende una persona più matura, tanto che ho pensato anche di inserirlo come esperienza di vita nel curriculum (non molti sarebbero capaci di accettare tutto quello che ho vissuto io con fede incrollabile).

Raccontando questo tipo di esperienze colorite, vissute poco più di dieci anni fa, sembra di confrontarsi con il pleistocene. Lo stadio oggi è cambiato, è arrivato il terzo tempo, il divieto agli striscioni, i tornelli, gli steward, Sky e tutto quelle baracconate che hanno strappato dal gioco quel quid di evasione che rendeva felici i calciofili, a beneficio di soggetti che poco hanno a che vedere col calcio, come le comitive familiari.
In ogni caso, già il fatto di ammettere da parte mia la liceità della presenza femminile è stato un grosso passo avanti, indice del mio grande amore (che Saschia ha subito colto con gratitudine).
Dico questo perché allo stadio do il peggio di me ed è giusto conoscermi in questi aspetti. Saschia accetta, senza sembrare particolarmente disturbata.

Da parte mia, l’altra sera in occasione di Fiorentina Roma credo di aver dato una pessima prova di me. La partita si prestava, possedendo tanti dei fattori che Nick Hornby in “Febbre a 90” identifica come cruciali per rendere interessante un incontro di calcio. Tra questi vorrei ricordare:
  • un avversario particolarmente odioso e scorretto
  • rivalità extracalcistiche tra il granducato (felice finché non sono giunti quei francesi dei savoia a rovinare tutto) e una città nella quale è più facile vedere una macchina blu di una punto (sia l’auto blu che la punto, in ogni caso, a titolo diverso pagate da noi contribuenti)
  • un arbitraggio ostile e vistosamente asservito all’avversario
  • un portiere che normalmente è topolino ma che contro di noi si trasforma in superman
  • svariate occasioni da gol, delle quali almeno 2 con uomo solo di fronte al topolino di cui sopra
  • un numero imprecisato di tifosi avversari che girano impuniti l’italia lanciando bombe durante la partita e accoltellando “nei pressi dello stadio”
  • una lunga serie di sconfitte nelle partite precedenti, più o meno meritate
  • giocatori che si becchettano tra loro (“t’aspetto fuori” etc.)
  • dei buffi personaggi un po’ su di giri tra quelli che ci circondavano. In particolare, ieri sera l’atmosfera era ravvivata da un vecchino che si rivolgeva a me come se mi avesse conosciuto da una vita. Blaterava qualcosa contro “i’ ferplei”, predicando il ritorno della violenza negli stadi (tra le poche cose che ho colto nel suo eloquio sconnesso: “e’ gli danno la mano… gliele darei io le mani, sì… ma nel viso”)
In questo contesto vivace, mentre io sbraitavo, Saschia non ha fatto una piega. Da un certo momento in poi è quasi sembrato che per lei la temperatura intorno allo zero passasse in primo piano rispetto alla partita, specie dopo il gol della Roma. Da parte mia, mi sono aperto la giacca perché avevo caldo.

Lunedì mattina ero in treno e mi faceva ancora male la gola da quanto avevo urlato la sera precedente. Davanti a me un tipo coi riccioli leggeva le due ampie pagine che Repubblica dedicava alla partita, con i troni trionfali che ben si confanno a un giornale asservito al potere. In cuor mio, non meditavo queste cose, ma ero tentato di tirare fuori un trincetto dalla borsa e fare pulizia.

Ovviamente anche lo stadio è un buono spunto per parlare del futuro. Siamo d’accordo che eventuali figlioli gobbi verrebbero raddrizzati “a suon di calci nel groppone”, dei quali avrei gran piacere a occuparmi personalmente. Possiamo accettare che non nascondano simpatie per le chiassose brigate gialloblu (quelle che impiccano i manichini in curva) e i nostri fratelli granata, ma nulla più.
Qualcuno obietterà che sarei un padre liberticida. Sapete bene invece che sono un fan della libertà mia e degli altri. Per questo sono convinto della necessità di intervenire nelle scelte dei figli.
La scelta del male infatti non è una scelta libera.

A

1 commento:

  1. Ho letto tutto.. e l'ho anche apprezzato!

    Volevo solo che tu lo sapessi...

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