sabato 31 dicembre 2011

Contributi di valore "tra innovazione e tradizione"

A riprova dell'esistenza di un fedele seguito, riporto un contributo inviatoci.

Rivoluzione - un altro mondo è possibile

Nuovo programma! Cambio di biglietto da Gerusalemme a Formentera! Playas arriviamo! Seeeeeeeeeeeeee!

venerdì 30 dicembre 2011

L'educazione prima di tutto


Supermercato ora di pranzo.

"Nicoletta, tesoro, aspettami un attimo qui amore. Torno subito, torno subito. Subitosubitosubito! Prendo solo un po' di cosine per la pappa e ce ne andiamo. Va bene Nico??!
Aspetta, tesoro, che ti apro un po' il giubbottino.
Vai, dammi due minuti, arrivo subito amore!
Non tenermi il broncio, su!"

Questa scena è successa veramente. Io c'ero.

Mio cognato crede che tra l'educazione di un cane e quella di un figlio ci sia poca differenza.
Qui a Milano, sempre avanti, hanno pure applicato la proprietà transitiva.
Pure troppo.

S.

PS: Che sciocca, dimentico di riportare anche la risposta di Nicoletta. Anzi, di Nico.

Bau.

giovedì 29 dicembre 2011

Vittime eccellenti/5


Stappare un Brichet di Casa Coste Piane è sempre un'emozione. E' il classico vino che a scatola chiusa verrebbe scartato, perchè non politicamente corretto. Ci sarà qualcuno che nella sua torbidità vedrà un vino malato.
I progressisti lo tirano per la giacchetta, ma Casa Coste Piane è un prosecco molto reazionario. E' l'archetipo di ciò che non si dovrebbe fare oggi secondo i dettami comuni, ma si fa lo stesso per amore della tradizione e della propria storia. E' un monumento alla libertà di spirito, è scegliere quello che si è sempre stati e conservare ciò che del passato portiamo dentro.
In bocca all'inizio è un vino scorbutico, come i colleghi che non si scelgono ma si trovano. E allora tocca adattarsi. Richiede di mangiarci qualcosa su, di condividere qualcosa. E allora si scioglie, rimane sapido e fresco, piacevole a bersi, semplice come semplici dovrebbero essere i rapporti di lavoro, scevri di sovrastrutture, di invidie, di bassezze. E più si approfondisce e più si dovrebbe ritrovare chi siamo veramente, come questa glera che prende il nome da un contadino piccolo piccolo, una bottiglia sul cui fondo abbiamo trovato tanti lieviti morti, che hanno combattuto, perdendo, la loro battaglia per donare a noi, creature di Dio privilegiate, un'emozione speciale.

Poi bevi una magnum di barolo e ti chiedi se il piatto la reggerà, se gli ospiti saranno abbastanza assetati da rendergli onore. E qui si fa una scoperta, perché finisce tutto. Questo bestione timido al naso -un po' di confettura, un po' di liquirizia e poco altro- in bocca sa il fatto suo. Sa essere un collega saggio, che parla poco e dispensa piano piano quello che sa. E' ancora un po' ruvido in bocca, ma non brucia, scalda con la sua strutturona densa. Così il mondo non sembra a due dimensioni, ma ne acquista una terza che dà spessore, peso e, soprattutto, senso.

Casa Coste Piane - Brichet Glera naturalmente frizzante... - 85 punti
Bovio - Barolo DOCG Villa Arborina 2005 Magnum - 88 punti

domenica 25 dicembre 2011

CDA | 25

BABBO


Quando, lontano da casa, chiamo mio padre babbo, sono oggetto della scherzosa derisione dei presenti. Qua al nord, babbo significa ben altro. Non so dove ci porterà la vita, ma ho sempre detto che se crescerò un figlio lontano da Firenze, mi dovrà chiamare babbo, come ha fatto mio padre, il nonno e tutti quelli prima di me.
Sarò sincero. Se mai un figlio mi chiamasse papà, allora:
1) gli rifilerei un manrovescio
2) gli farei presente che papà lo fa la tromba
3) lo butterei dalla rupe Tarpea

Babbo e papà sono due sostantivi semplici, come tutte le parole pronunciate dai bambini. Entrambi suonano semplici e familiari. Tuttavia, babbo è più complesso di papà, il suo suono seppur infantile è più articolato, come si conviene a una razzaccia più cervellotica e perfezionista.


Babbo, però, per noi è qualcosa di più. Babbo è un marchio di fabbrica. Babbo è il primo segno distintivo di appartenenza di una creatura. Diversamente da tante altre parole, delle quali qua ne vedete riportate solo alcune, babbo è la prima che è marchiata a fuoco sulla pellaccia dura dei toscani. Babbo è un epiteto identitario che richiama la nostra origine e ci segna indelebilmente per tutta l'esistenza. Passeranno gli anni, ma un babbo rimarrà sempre tale e non potrà mai diventare un papà.

E allora tra milioni di persone ci potremo riconoscere, magari nel grande assembramento che ci sarà il giorno del giudizio, quando saremo tutti là ad aspettare il nostro turno, sentendoci chiamare uno a uno. Potremmo sentire qualcuno che preso dall'ansia si maledica "me lo diceva, il mio po'ero babbo, che a fare il bischero si va all'inferno". Andremo allora ad abbracciarlo e gli diremo che, in fondo, anche se all'inferno ci toccherà andarci per davvero, almeno sappiamo che sulla terra abbiamo vissuto prendendoci gioco della vita e del mondo e che, almeno per qualche anno, abbiamo vissuto un po' di quel paradiso che è la toscanità.

sabato 24 dicembre 2011

CDA | 24

BISCHERO


Segno di amicizia e d'insulto insieme (a seconda se si parli con amici o nemici), non c'è una parola che, meglio di bischero, riassuma l'essenza del toscano, che ci faccia ricordare dalla nostra terra.
Ce lo ricorda con la forma: una C che non si aspira, per ricordare a tutti che in Toscana non esiste solo la coca cola con la cannuccia corta corta. Ce lo ricorda con la sostanza: un'offesa tagliente che non vuole tagliare.
Un'offesa buona. Come tutte le offese dei fiorentini.


Simile al cugino grullo, ma decisamente più serio, bischero è più forte di scemo, più incisivo di poco vispo. Il bischero è un ingenuo, ma di quelli della peggior razza, ovvero quelli che si credono intelligenti. Uno stupido che però si crede furbo. Peggior razza, dicevo, perché, come si dice a Firenze, per il malato c'è la china, ma pe' i' bischero un c'è medicina.
Nel tempo il significato di bischero si è addolcito, arrivando per traslato a intendere anche chi è tanto buono da prenderla sempre in tasca. Non è raro sentir dire infatti: occhio! Perché tre volte buono, vuol dire bischero.
E dalla bontà, a Firenze, si preferisce sempre guardarsi le spalle.


Bischero non è una parola inventata ma ha una storia, un passato e i Toscani lo usano per dire: nella vita essere scaltri è una necessità, è l'unico modo per crescere.
Non vuoi farlo? Benissimo, ma sappi che tutti ti metteranno i piedi in capo. Lo vuoi fare troppo? Occhio, perché le conseguenze della stupidità sono reali e - generalmente - a lungo termine.


Ma veniamo alla storia. Alla fine del 1200 il Comune di Firenze decise di costruire un nuovo Duomo, perché Santa Reparata non bastava più. La prima pietra venne posta l’8 settembre 1296 e per arrivare alla conclusione dei lavori ci vollero circa 170 anni. Lavoro decisamente complesso (tipo la Salerno Reggio Calabria, per intendersi).Santa Maria del Fiore sarebbe stata immensa, e per questo il Comune deliberò di acquistare tutte le case e i terreni che si trovavano nel perimetro del progetto.
Proprietaria degli immobili tra Duomo e via dell’Oriuolo, era la facoltosa famiglia Bischeri (famiglia da cui provenivano 4 gonfalonieri e 15 priori) a cui il Comune propose l’acquisto delle loro proprietà.
Questi, antenati dei furbetti del quartierino, iniziarono un’estenuante trattativa sul prezzo, mostrando pubblicamente di volerne fare una speculazione edilizia con i fiocchi.
E visto che i fiorentini hanno tanti pregi, ma tra questi non c'è di sicuro la pazienza, accadde che una notte un violento e misteriosissimo incendio bruciò tutte le case dei Bischeri, i quali si ritrovarono con qualche tonnellata di cenere e la beffa di dover cedere i loro terreni a un prezzo ridicolo (mentre i Medici, al Governo, se la ridevano alla stragrande). Altre fonti dicono che il Comune, senza traccheggiare, espropriò direttamente le loro case, ma poco importa. Il succo si capisce.
I fiorentini sono molto sensibili al tema. Potete dir loro di tutto, offendere mamme e sorelle, e tendenzialmente nessuno se ne prenderà mai a male perché da noi l'offesa è la forma con cui si dimostrare la confidenza.
Ma, datemi retta, sentirsi dare del bischero brucia. E come se brucia.

venerdì 23 dicembre 2011

CDA | 23

RUZZARE


No, non russare. Ruzzare. Doppia z.
E come tutte le parole con la doppia Z (pazzo, puzzo, razzo, mazzo...), ruzzare è una parola netta a cui non piacciono le mezze misure.

Ruzzare, ovvero divertirsi facendo chiasso, mischiando le carte in tavola, giusto per ridere.
Vi fermiamo subito per un'associazione sbagliata: non parliamo di giocare.
Giocare è qualcosa di più serio e impegnativo. Il gioco richiede una certa organizzazione: si deve capire cosa fare, sceglierlo, applicarcisi in qualche modo, portarlo a termine.

Ruzzare no; per ruzzare non serve una pianificazione. Si può usare quello che si trova o semplicemente aggiungere una dose di irrazionalità a un'attività quotidiana. Di colpo, d'improvviso. Il ruzzo non si decide: il ruzzo quando arriva, arriva.
Di un gatto che parte a correre per il corridoio, saltando addosso a chi gli capita davanti, si dice "c'ha i' ruzzo". Lo stesso un cane che si agita e salta addosso a tutti. I bambini che superano il confine e ridono, ridono, ridono, facendo i versi che tanto gli piacciono, altro non fanno che ruzzare.

Il ruzzo è uno scherzo, in maniera scomposta. E sopratutto inaspettata.
Curioso come, generalmente, il ruzzo si applica ad animali e bambini.

E voi: quanto ruzzate?

giovedì 22 dicembre 2011

CDA | 22

TAMBURLANO

Arnese a forma di tamburo cilindrico che alla base aveva uno scaldino o un braciere che dovevano asciugare la biancheria che veniva stesa nella parte alta.
Bene. Detta la definizione, ora dimenticatevela, perché a Firenze il tamburlano è un'altra cosa.

A Firenze il tamburlano è il simbolo principe di un oggetto ingombrante e antiestetico, un bidone insomma, qualcosa che di mette nel mezzo per non lasciare spazio ad altro. Qualcuno che parla, parla, parla e non la finisce più, con molta probabilità ci sta facendo la testa come un tamburlano.
Ma veniamo a un esempio decisamente più concreto.

Molti di voi si ricordano della mia prima macchina. Mentre gli amici sfoderavano Yaris e Polo come piovessero, io vantavo la macchina imparcheggiabile, la mitica Mondeo station wagon. Dovete sapere che la fissazione di far girare noi povere sorelle Masini su catamarani non inferiori ai 5 metri di lunghezza non è nata con me. Io ho solo continuato la tradizione familiare, iniziata quando ero ancora nella mente di Dio. Le mie sorelle non avevano però la mitica Mondeo, ma la mitica Sierra. 

Protagonisti & comparse: mia sorella Chiara, poco più che ventenne, con un gruppo di amiche.
Ambientazione: piazza San Niccolò, dove al tempo si poteva ancora transitare liberamente.
Svolgimento: Chiara guida regolarmente la Sierra - con le amiche dentro - fino a che non si accorge che una pocket macchina le sta venendo addosso. In contromano. Subito Chiara e amiche si attivano per indicare all'ignoto guidatore che in quella strada in due non ci passeranno mai. Non tanto perché è stretta, quanto perché l'ignoto è in contromano.
Ma la pocket macchina guidata dall'ignoto non accenna a fermarsi. Mia sorella inizia a fare cenno di no con le mani e a suonare, freneticamente.

Capendo evidentemente fischi per fiaschi, l'ignoto guidatore esce dalla sua pocket macchina. È una donna. In mezzo a Piazza San Niccolò (dove ormai la gente si godeva lo spettacolo affacciata ai balconi) urla:

- "O icché ttai da sonare te e codesto tamburlano??!".

Per inciso. Mia mamma non ha mai accettato che la Sierra fosse definita antiestetica.

mercoledì 21 dicembre 2011

CDA | 21

DICE

Oh, dice c'è un blog cha fa le buche…
Che fa le buche? Ma dove?
Sì, dai, un blog dove dice c'è un pistacchio e una fragola che fanno i' calendario con le parole toscane…
Dice? Ma chi lo dice?
Boh. Dice.

martedì 20 dicembre 2011

CDA | 20

INGRULLIRE


A Firenze è raro non aver sentito, per strada, in un giardino, davanti a una scuola, in un supermercato, la fatidica frase:
"Ma che ssei 'ngrulllito?"

Si può perdere la testa per tanti motivi, ma ingrullire no. E se il problema fosse solo aver perso la testa non sarebbe il caso di farla tanto lunga. Una cosa che si perde si ritrova. Ma ingrullire no. Ingrullire significa molto di più.

Ingrullire non è solo un ammattire, un diventare scemo, un instupidire.
Ingrullire è entrare in un regno dove niente sembra appartenere alle regole del mondo reale. Una specie di isola che non c'è. Un'isola che non c'è piena di grulli, però.
È entrare in una dimensione di idiozia parallela, una condizione semi perenne, quasi fino a non uscirne più. Almeno fino a che qualcuno non ti chieda:
"Oh, ma che tu ssei 'ngrullito?"

Si può ingrullire da soli (avete presente quanto si può ingrullire a cercare un paio di chiavi?) o ti possono far ingrullire gli altri.
Se è vero che nel primo caso non ci si sente particolarmente intelligenti, nel secondo, almeno, si rimane in buona compagnia.

lunedì 19 dicembre 2011

CDA | 19

USCIO

Chiariamo subito. Anche noi pensiamo che sia "meglio un morto in casa che un pisano all'uscio", così per confermare che siamo campanilisti e provinciali. Figuratevi che già guardiamo con sospetto i pratesi, che distano da noi pochi chilometri. I pisani invece, lontanissimi, no. I pisani li odiamo, odiamo soprattutto la loro Torre Pendente perché non possiamo accettare che un lavoro fatto male possa diventare celebre (ancora più stupefacente come si possa pensare di studiare ingegneria civile a Pisa, visti i precedenti, ma non infieriamo).

Ma cos'è quest'uscio? L'uscio è molto simile alla porta, ma pensata alla nostra maniera.
L'uscio infatti non è la porta vera e propria, il pezzo di legno con la maniglia, quanto piuttosto uno spazio concettuale, che va ben oltre la piccola porzione che la porta occupa. Stare sull'uscio significa rimanere fuori dall'intimità di un luogo, pur essendone prossimi.
L'uscio è tanto più uscio quando indica l'ingresso di casa, quando è spartiacque tra la vita familiare e il resto del mondo, il pianerottolo, i dirimpettai di appartamento che forse non ci salutano nemmeno in ascensore. La differenza tra porta e uscio sta proprio nella differenza tra un oggetto e un concetto, l'astrazione che quell'oggetto per estensione crea.
Un pisano all'uscio è un pisano che incombre per profanare il nostro spazio vitale, quanto abbiamo di più riservato, sospeso nel limbo tra il dentro e il fuori, a un passo dalle cose più care. E questo ci sconvolge.


Ps. come molti di voi già sanno, riferisco mio malgrado che i pisani, tra i quali annoveriamo anche degli amici (horribile dictu), rispondono candidamente alla nostra affermazione "che Dio t'accontenti".

domenica 18 dicembre 2011

CDA | 18

LA PASSATA

"Oicchettai tra i capelli?"
"Come icché c'ho?! Mi so' messa la passata!"

Lo sappiamo cosa dirà la maggior parte di voi. La passata? In testa?! Ma la passata si mangia!
Zucca, patate, porri, carote... la passata per voi è quella.

Per noi invece la passata, se detta da sola, è quella cosa che tira indietro i capelli.
Un gesto che parla da solo: che scopre il viso, che fa passare tutto dietro. Un gesto evocativo, come se tirare indietro i capelli volesse dire buttarsi alle spalle tante altre cose. Brutte? Belle? Beh, sicuramente passate.

Voi la passata la chiamate cerchietto.
Una volta detto non c'è più nulla da immaginare. Cerchietto: una funzione, una descrizione, una definizione. Il cerchietto ha uno spazio, un ruolo preciso e, bada bene, che non si muova da lì.

Noi no. Perché ci piace pensare che anche solo a mettersi una passata, uno si possa sentire più leggero.

sabato 17 dicembre 2011

CDA | 17

PISSERO

Siamo quasi a Natale e non ci potrebbe essere periodo migliore per chiarire, una volta per tutte, il significato della parola pissero.

Avete presente quei poveri bambini costretti da genitori incuranti della loro dignità sociale (sì, cari genitori, hanno una dignità sociale anche i vostri figli) a indossare collettoni di trina ricamati da una qualche trisavola? Tutine rosa, con scarpe rosa, sciarpa rosa, maglietta della salute rosa, mutande rosa, pannolone rosa?
Avete presente quelle candele centro tavola orribili (in verità sono sempre le solite 5 che la gente continua a reciclarsi) composte da pigne, rami di abete (che tagliano sempre la mano), ghiande, campanelli e un Babbo Natale che fa sempre tanta simpatia? Quei deliziosi alberelli di ceramica che dovrebbero illuminare le tavole con le candeline da posizionare dentro che poi, matematicamente, fanno scattare gli allarmi anti incendio di 1 condominio su 3?
Avete presente il mitico maglione di lana con i disegni del fiocco di neve sopra, che, chi vi vuole bene, definisce "anni '80" perché non sa la sente di offendervi?

Tutto questo è il pissero, il troppo, lo stucchevole, il lezioso.

Io capii cosa fosse il pissero in un momento preciso della mia vita. È un momento imprecisato nel tempo. Imprecisato ma nitidissimo nella memoria. Avevo più o meno 5 anni e, accompagnando madre e sorelle a far compere, mi imbattei nel primo grande amore della mia vita, che mia madre definì, senza colpo ferire, "decisamente troppo pissero". Fu un colpo. Quasi mortale. Ma non mollai. Combattei fino a che non diventò mio.

Era un pellicciotto di pelo molto folto e molto finto. Rosso. Lucido. Molto lucido.

Pissero. What else?



Per amor di completezza riportiamo comunque la definizione originale:
«Dicesi pissera con valutazione negativa, la donna mediocre di ogni età, sposata o nubile, di solito non molto dotata fisicamente, la quale, aspirando ad essere considerata brava, s’impone comportamenti, modi, abbigliamento, scelte particolari, e si presenta come modello di virtù femminili, che possiede però solo in parte limitata. Allo stesso modo si conferma ai difetti apprezzati dalla società, della quale assume i gusti, esaltandoli nella mediocrità e combinandoli sapientemente».

venerdì 16 dicembre 2011

CDA | 16

PAREA PINCO

"Pinco? Forse volevi dire Pinko! Certo, certo! Hai visto che belle le maglie di questa collezione autunno inverno?!"

A Milano, a dire "parea pinco", potrei incappare in un dialogo del genere.
Peccato che io dica Pinco, senza k. Con la c.

Passa uno con la macchinona, diciamo un SUV bianco opaco, tutto fiero come se suo figlio avesse appena preso il nobel per la pace? Una ragazza ritorna trionfante da una giornata di shopping intenso, piena di buste, su dei trampoli di 34 cm, felice come se avesse scalato l'Annapurna? Un uomo cammina per il centro tutto borioso, portando in giro, come un bassotto a pelo ruvido, la sua nuova fidanzata bellissima?

A Firenze si dice: "Uhh! Parea Pinco!"
Un sottile modo di sfottere difronte a una felicità che affonda la sua radice (perché credo sia opportuno non usare nemmeno il plurale) sull'apparire, sulla facciata.
C'è chi li invidia. Può darsi. A noi però piace girarci, sfotterli e dirgli: Madonna, pareva chissacchì!

Madonna! Parea pinco!

giovedì 15 dicembre 2011

CDA | 15

CIACCIARE

Dicendo ciacciare, non vi immaginate subito delle mani che si muovono veloci veloci veloci, occhi concentratissimi, alla ricerca di qualcosa dentro una borsa enorme, o dentro un cassetto, un baule dimenticato, una cesta piena di giochi, una scatola di latta piena di lettere antiche?

Ciacciare è questo. Aggiunge curiosità al rovistare e simpatia al frugare.
È più metodico e attento del curiosare, più intimo dell'esplorare, più personale dell'ispezionare, meno freddo del perlustrare.

Ciacciare non sempre si potrebbe, ma è un impulso irrefrenabile. Si fa in buona fede. È più forte di noi.

mercoledì 14 dicembre 2011

CDA | 14

TRACCOLAIO

Vi confido che non conoscevo la parola "traccolaio" finché non l'ho sentita personalmente nominare dal fattore della casa di campagna, il fidato Nello.
Era una vendemmia di qualche anno fa. Per una volta, il raccolto era stato superiore alle aspettative. Grappoli come piovesse.

Quasi all'ultimo, ci siamo accorti che i tini non riuscivano a contenere tutto. Panico, sguardi smarriti.
Nell'incertezza generale, spunta l'idea di recuperare un capiente contenitore di vetroresina dismesso da tempo, per raccogliere il mosto in eccesso. Complicazioni: il tino improvvisato non può essere appoggiato direttamente al suolo, pena l'impossibilità di effettuare le lavorazioni di cantina. Recuperiamo dei pancali e dei mattoni, costruiamo una struttura improbabile che ricorda tanto le impalcature di bambù dei cantieri di lavoro nepalesi.

Nello squadra poco convinto quanto abbiamo faticosamente prodotto:
"Mmm. Secondo me vien giù tutto, questo l'è un traccolaio!".

Credo di non aver mai riso tanto. Fu un momento memorabile. La scoperta di una parola nuova, autoesplicativa, evidentemente toscanissima, nel contesto più verace che si possa immaginare.

Se scriviamo "traccolaio" su google non viene fuori niente. Il nuovo vangelo, quella della Rete, la nuova verità che si manifesta come l'hit parade delle occorrenze, di click, di riferimenti, cancellerà probabilmente un'espressione come questa.
La Rete, anche se è grande, non lo è abbastanza per lasciare spazio a tutti.
La Rete è relativista. La Rete dice che è vero ciò che è più comune, come se la verità fosse una questione di democrazia, di alzata di mano.
La Rete non considera che dentro la nostra storia, tra di noi, c'è qualche parola che ci portiamo dietro da secoli, che viene tramandata di bocca in bocca, che è stata sussurrata in una cucina di campagna una sera d'inverno, che è stata gridata in qualche campo durante il raccolto, che è stata citata davanti a una specie di enorme bidone di vetroresina, per tanto dimenticato ai margini del bosco.
Non sono i numeri, non è la moda che fa la cultura di un popolo. Non si sostituisce una storia con una ricerca su internet. La Rete perde le sfumature e massifica la conoscenza, speriamo di rendercene conto presto.

martedì 13 dicembre 2011

CDA | 13

TROMBAIO

Ti si è rotta la cannella dell'acquaio? Lo sciacquone perde? Ti si sta allagando la casa e non sai neanche perché?
Bene! Allora devi chiamare il trombaio.

Chi?!
Il trombaio, ovvero l'idraulico, quello che ripara tutto ciò che ha a che fare con acqua e casa.

Qualche esempio? Super Mario, l'eroe dei videogiochi per eccellenza, è un trombaio. L'amata principessa Daisy non avrebbe potuto scegliere di meglio. Secondo me, s'era innamorata già dal nome.

Difficile parlare di etimologia, senza che si sprechino sorrisi malcelati e si incrocino sguardi furbetti. Eh... che farà il trombaio? Sappiamo già che vi state tirando le gomitate, ridacchiando (e maledicendo il giorno in cui avete scelto di studiare economia).
E invece, no, maliziosi che non siete altro. Qui non si parla di professionisti che consolano mogli lasciate sole dal marito. La tromba è la pompa dell'acqua. Da qui, per estensione, il "trombaio" è chi ci lavora sopra.
Almeno così piace pensare a noi inguaribili ottimisti.
Ops, scusate. Da noi che il bicchiere lo vediamo sempre mezzo pieno. Trombaio o no.

lunedì 12 dicembre 2011

CDA | 12

A REGOLA / ARREGOLA

A regola, o nella versione più forte, arregola questo post avrei dovuto scriverlo stamatina presto e non ora all'ultimo momento, lottanto contro i secondi prima che arrivi la mezzanotte, come una Cenerentola grafomane invece della fashion victim che conosciamo.
Arregola avrei dovuto pensare alla parola con calma, cercare l'etimologia, il senso, la storia, magari anche un pizzico di tradizione.
Arregola ci avrei dovuto ponderare tutte le possibilità, e poi sceglierne una.
Tutto vero, arregola.

Arregola, cioè come le cose dovrebbero essere. Come sarebbe evidente. Come il mondo dovrebbe girare.
Arregola, con la pretesa di aver sempre la situazione sotto controllo. Come bravi toscani testoni.

Ma benché noi si raddoppi anche la R (sentite come "arregola" tuoni molti di più che "a regola"), la vita ci ricorda di essere molto più interessante di una regola (anche se detta in toscano), prende il sopravvento e ci porta dove non avremmo mai pensato.
Meno male.

Molti rimangono indietro

Partiamo da Milano nel tardo pomeriggio. Pioviggina. La macchina corre veloce verso le montagne.
Tante telefonate per trovare un alloggio libero. Un sito internet imbarazzante e un bed&breaskfast la cui costruzione ha richiesto l'abbattimento di una foresta.
Una cena fissata alla cieca. Un viottolo che si inerpica sulle montagne, dove la pioggia diventa neve, neve fitta. E attacca.
Ci si chiede se sia più pericolosa la strada o la polenta concia.
Uno stereo che suona rivisitazioni andine di brani celebri.
Leggere sul suo display che non tutto il mondo corre sempre più veloce, non tutti hanno l'ipod, non tutti quando hanno bisogno di una canzone la scaricano da internet e l'ascoltano con itunes.

domenica 11 dicembre 2011

CDA | 11

BADA

Molto più di un avvertimento, molto più anche di un consiglio, il bada è come un tuono*: ti avverte che sta per arrivare un temporale. E quindi, come dire, si salvi chi può.
Il bada è la mamma minacciosa che brandisce un mestolo, difendendo la crema pasticciera appena fatta. Il bada è lo sguardo di un babbo che fulmina il bambino che sta passando il limite. Il bada è un amico che spera di fermarti prima che tu faccia l'irreparabile. La sorpresa di vedere una persona che non ti saresti mai aspettato.

Bada. Due sillabe che racchiudono molto ti più di uno "stai attento". Nel bada c'è un po' del "guarda che potresti farti male", "io ti sto avvertendo", "mi sto per arrabbiare parecchio", "non so quanto tollererò questa situazione", "fermati prima che si troppo tardi".

Il bada lo avrebbe potuto dire San Giovanni (sì, sempre lui, ma d'altronde spopola nel tempo di Avvento):
"Badate ragazzi, qui è ora di convertissi, di credere in qualcosina di diverso dai babbi Natali che vedete a giro, siano vestiti di rosso o tutti leopardati".

Merce rara oggi.


* Anzi, per rimanere in tema, come un tono, come Tonino che ruzzola le botti - detto tipico quando sta per piovere e tuona forte, come se in cielo ci fosse un Tonino che, spostando botti, fa un rumore pazzesco, simile, per l'appunto, a un tuono.

sabato 10 dicembre 2011

CDA | 10

GRANATA

Grande confusione, sporcizia ovunque.
Occorre rimettere un po' a posto, rassettare e, ovviamente pulire.
Da ultimo, spazzare il pavimento.
E qui il mondo si divide. Ovunque il pavimento si spazza con la scopa, mentre in Toscana, no, in Toscana -buffo- si spazza con la granata.
Differenze sostanziali? Nessuna. Dire "granata" è un vezzo. Non volendo rinunciare a nulla, specialmente al superfluo, ci teniamo stretta questa parola, proviamo piacere a leggere sul volto degli stranieri l'incomprensione del nostro piccolo mondo.
Se parliamo di granata ci riferiamo alle mura domestiche, dove farci vedere a usarla indica una grande confidenza. Mai lo faremmo se non in presenza di amici intimi.
È una parola sentita la prima volta dalla mamma, o dalla nonna, che non abbiamo probabilmente mai vista scritta da nessuna parte. Lessico familiare cristallino. Odore di casa.

venerdì 9 dicembre 2011

CDA | 9

CANNELLA

Oggi nella nostra casella si trova la cannella. Ma non parliamo di dolci o di frutta al forno, di strudel o te aromatizzati a sapori strani.
La cannella, se proprio dobbiamo trovare un'altra parola per descriverla, è il rubinetto.
Perché ci piace più cannella di rubinetto?

Rubinetto è industriale, freddo; il rubinetto è un attrezzo metallico che deve funzionare.
La cannella invece è una compagna di stanza, che vuole compagnia tutto il giorno. La cannella è un po' pettegola, soprattutto quando gocciola. La cannella si vuol far sentire, perché la sua acqua è più buona di quella di rubinetto.
La cannella è una ninna nanna che aiuta ad addormentarsi, scandendo il tempo non come un orologio, con minuti e secondi, ma con i tempi della cucina. Con i tempi della vita.

giovedì 8 dicembre 2011

CDA | 8

TOCCO

Voi a che ora mangiate a pranzo? Credo che la maggior parte di voi mangi alle una. Sarebbe diverso se foste muratori, pensionati in età molto avanzata o degenti in casa di cura. O, in alternativa, fiorentini. E questo non perchè i fiorentini mangino prima delle una, ma perchè mangiano al tocco.
Il tocco a Firenze sono le ore una.

Questa espressione ci piace (e quindi la difendiamo con i denti) perchè ci parla di un mondo in cui il tempo era scandito dagli orologi dei campanili.
Il tocco, un solo rintocco del campanile.

Il tocco ci ricorda quando avevamo ancora il tempo di ascoltare la voce della città, che non avevamo ancora sopraffatto con il rumore dei cellulari, delle televisioni e delle auto. Avremmo potuto ascoltare le voci delle persone e invece abbiamo scelto altro. Forse era inevitabile ed è inutile fare la parte dei ruderi antistorici, ma non credo che ci abbiamo guadagnato. Avrei preferito che avessimo ancora la pazienza di ascoltare il campanile per farci dare quell'informazione che solo lui possedeva. Forse era anche un modo per dire che il tempo non è nostro ma è di Dio e noi non possiamo che aspettare da Lui delle indicazioni, anche se per farlo -e oggi è davvero fuori dalla nostra abitudine- occorre aspettare uno, due, tre, quattro, cinque, magari dieci rintocchi che si succedono piano piano.

mercoledì 7 dicembre 2011

CDA | 7

TONI

A Milano oggi è Festa. S. Ambrogio, quel super vescovo che convertì quella capoccia di S. Agostino, ci regala un super ponte. E quando c'è ponte, quando c'è festa, c'è chi parte e c'è chi resta. Chi resta generalmente, quasi per immergersi più da vicino nel mood del giorno festivo, si mette in toni.

Toni, esatto. Non un giocatore, né il plurale del tono di voce o di colore.

A Firenze la tuta non la chiamiamo tuta. Nome sciatto e troppo casalingo. A Firenze, per l'ora di ginnastica a scuola, per la palestra, per andare a correre o per allenarsi, ci si mette il toni.

Correva l'anno 1944. Firenze era stata liberata. Diciamo che la gente non navigava proprio nell'oro e il concetto di proprietà privata era stato provvisoriamente accantonato, per ritornarvi una volta calmate le acque (e lo stomaco).
Nei pressi di campo di Marte, era caduto da una jeep degli alleati americani un pacco piuttosto grandicello che riportava sopra una scritta: TO NY.
Evidentemente sarebbe dovuto arrivare nella grande mela.
Ma pare che quel pacco la grande mela non l'abbia mai vista.
Superando il timore reverenziale e il rispetto che il liberatore emana, qualcuno aprì il pacco e ci trovò le tute che l'esercito americano usava. Ma mica una. Parecchie, ma parecchie tute.
Partì una voce:
"O figlioli, venite! Qui c'è i TONI!"

Nemmeno una svendita all'Ipercoop di Ponte a Greve avrebbe avuto quel successo. In capo a un'ora i toni erano fisicamente finiti ma rimanevano sulla bocca di tutti.

Sono ancora lì.

martedì 6 dicembre 2011

CDA | 6

LAPIS

Mi passi il lapis, per favore?
Eh?
Il lapis.
Lapis?! La matita, vuoi dire!
No, voglio dire lapis.

Non credo ci siano parti d'Italia che condividano con i toscani questa sfumatura lessicale e spesso mi è capitato di non intendermi lontano da casa.

La penna scrive lasciando un segno indelebile. Il lapis, no, si può cancellare. Ok, è vero, anche la matita si può cancellare.
Tuttavia, il lapis e la matita sono due cose diverse.
La matita è colorata, il lapis no. È grigio e profuma di legno e grafite.
Difficilmente utilizzerete una matita quando avrete più di 13 anni, il lapis lo utilizzerete tutta la vita.
Con una matita si fanno i disegni, con il lapis si possono anche prendere appunti senza sembrare di essere un saccheggiatore di astucci di goldrake.
Matita suona tremendamente italiana e terrena. Lapis sa di latino e trasuda storia e tradizione.

Non usiamo una parola quando possiamo utilizzarne due. I dettagli contano e chi ha un cuore ci tiene, specialmente quando deve scrivere qualcosa di importante.

lunedì 5 dicembre 2011

Best place to work Award 2011 - Christmas Special edition


Dove lavoro io le riunioni sono così interessanti che la gente spesso rimane fuori.

CDA | 5

RIMBUZZARSI

Qui a Milano è un gran freddo. E in motorino, si sa, il grande freddo non perdona. Entra dappertutto, cercando una feritoia da dove possa raffreddarti e farti venire brividini ancora più forti.
Per questo ci si rimbuzza.
Per evitare che lo spiffero malefico giunga alla povera schiena indifesa, al pancino. E allora giù di maglie delle salute, canottiere, camicie rintanate dentro i pantaloni e giacconi rigorosamente lunghi.
Il rimbuzzarsi è la lotta delle mamme con i bambini al parco, che girano completamente sbuzzati anche a - 5; è la lotta del padre con l'adolescente che esce di casa con una sciarpa lunghissima e pesantissima ma col bellico di fuori. È il compito di un amante lasciato, che deve rimbuzzarsi il cuore (o quel che ne resta). È la mia lotta giornaliera contro gli spifferi.

Quindi copritevi bene, che ll'è un bel diaccio, e buona giornata a tutti!

domenica 4 dicembre 2011

CDA | 4

SECCO ALLAMPANATO

O Giovannino, Dio bono, perchè un tummangi? Oioi, ttussei secco allampanato!
Mamma, non mi stressare con questa storia! Devo prendere la mia strada, me ne vo nel deserto.
Ma dove tu vvai nel deserto? Guardati, tu sei tutt'ossa!
Sì: vo nel deserto. A me mi basta qualche locusta.
Le locuste! La mi' cugina mi dice sempre che i' su' figliolo è grande e grosso...e vorrei vedere, a tagliare assi e piallare tutto il giorno! Mica è come te che vuole "prendere la sua strada!" Ma perchè un te ne stai un po' fermino?
Mamma, lascia fare, via... e poi guarda che anche Gesù fra pochino si leva dai tre passi...
Sìe, si leva dai tre passi, ora, t'hai a fare anche i' profeta... ma figurati se il suo babbo lo lascia andare, con tutto quello che c'ha da fare in bottega!

La casella di oggi prende spunto dalla liturgia della seconda domenica di avvento, che ci parla del mitico patrono di Firenze, Giovanni Battista.
In Toscana se tu sei secco parecchio, tu sei secco allampanato. Allampanato perché il lume trasparente faceva vedere da una parte all'altra della lanterna.

sabato 3 dicembre 2011

CDA | 3

MICCINO

C'è una cosa che difficilmente un toscano sopporta di buon grado: chi fa le cose a miccino.
Sì, a miccino.
Si possono dire tante cose dei toscani, che sicuramente sono polemici, superbi e critici, ma quando si tratta di offrire agli altri, non ne vedrete mai uno tirarsi indietro a dare con generosità, specialmente a tavola.

A miccino. Insomma, con il braccino corto. Odioso vedere i crostini con uno strato infinitesimale di impasto sopra, la pasta con un'ombra sbiadita di rosso che ricorda del sugo. La besciamella: deve essere tanta e strabordare da tutte le parti, incontrollabile. Se a cena gli ospiti finiscono tutto, è lecito interrogarsi se, oltre ad aver sicuramente preparato un pasto clamorosamente buono, - più probabilmente - abbiamo fatto le cose a miccino.
Parlare poco, promettere meno, ma mai fare le cose a miccino. Ecco il segreto per sorprendere le persone.

Mantenere qualcosa di più di quanto ci si aspetti è il modo che noi toscani ci siamo inventati per rendere più felici i nostri amici.
Senza farglielo sapere.

venerdì 2 dicembre 2011

CDA | 2

PUNTO

Non c'è posto?! Ma stai scherzando, vero?
Eh, non c'è...
Ma punto?
Punto.
Punto, punto, punto?
Punto, Maria, un c'è nulla. Niente di niente. Ho provato anche all'Easy Hotel, quello di una stanza in 8 mq, ma sono pieni anche loro.
Ma come si fa? Un posto bisogna trovarlo, mica si può...
Maria, non ti preoccupare, fidati di me. Un posto si trova. A costo di andare sotto un ponte.
Ma qui in zona di ponti un ce n'è punti.
Maria, Madonna, ora non ti fissare. Ti ho detto che un posto si trova e un posto si trova. Mica si finirà in una stalla.


S.

giovedì 1 dicembre 2011

CDA | 1

BACO GIGI

Apriamo la prima casella... Il Baco Gigi. Eccoci!
Come aprire la prima ciliegia, una mela o, per restare in stagione, una castagna e trovarci, beffardo, l'odioso inquilino.
Ma con le cose fastidiose bisogna imparare a convivere e in Toscana, per sopportarle meglio, abbiamo un metodo infallibile. Gli diamo un nome. Come se abituarsi a chiamare una seccatura con il diminuitivo, diminuisse un po' anche la seccatura stessa. Provate. Funziona.

E il baco, anzi, il baho, il verme della frutta, in particolare delle ciliegie, da noi si chiama Gigi, diminutivo di Giovanni, in quanto dopo S. Giovanni (il 24 di giugno) è facilissimo trovare i vermi nelle ciliegie.
Famoso il modo di dire con doppio senso: I'ba'o Gigi gli sta meglio tra le mele 'he a Parigi.

Dategli torto.

S.

mercoledì 30 novembre 2011

Calendario dell'avvento

In un avvento lontano da casa (anche se noi per primi ci interroghiamo più volte su quale sia la nostra), mentre spopolano calendari dell'avvento pagani, come direbbe Albe, con protagonisti i Barbapapà o le Winx, noi abbiamo deciso di crearci il nostro. 25 parole toscane che ci manca sentire tutti i giorni. 25 parole che quando diciamo qui, tutti ci guardano interrogativi.
Ecco quindi il nostro CDA. No, nessun consiglio di amministrazione. Via ragazzi, siamo in clima natalizio: il Calendario dell'Avvento.

È pagano anche il nostro?

Andiamo... Natale è casa. E a casa si parla così.

S.

lunedì 28 novembre 2011

Non sottovalutate mai un tacco

Domenica di compleanni. Domenica di campagna. Chi fa la passeggiata con un bicchiere di spumante in mano, chi vola in elicottero, chi seppellisce opere d'arte, chi dorme e chi piglia pesci. Chi i pesci non li piglia di sicuro, visto che è tutto novembre che non piove e le trote salmonate del fiume artificiale della campagna non hanno avuto certamente vita facile. Chi mangia dolci e chi finisce i fegatini, chi prende le lenticchie, nuovo metodo anti crisi. Infallibile.
Chi cerca tacchi, dispersi per un bosco. E chi cerca trova.
E spesso non ritrova solo un tacco. Ne trova due. E molto, molto di più.
Due parole, uno sguardo. A volte basta dire "mi sei mancata tanto". A volte no, ma è sempre un buon inizio.

Uscire di casa e vedere il profilo delle colline nere nella sera, con un cielo che dal magenta arriva fino al blu notte. Dio per le sfumature deve avere le Caran d'Ache - che la mia mamma mi faceva usare solo per le grandi occasioni.

È notte, in autostrada. Tanta nebbia. È tutta una questione di pudore. La pianura padana si vergogna. Si vergogna e si copre. Un asciugamano di nebbia addosso. Anche con tutte le stelle del mondo accese su di lei, non potrebbe mai essere più bella di casa.

lunedì 21 novembre 2011

Vorrei ringraziare

Lunedì. Il giorno odiato, la pecora nera della settimana, la pietra legata al collo, il giogo millenario. E invece, in netta controtendenza, la mia settimana parte alla grande. Buon lunedì da grande domenica, come dicevano gli antichi. Il trucco c'è e non è nemmeno troppo difficile trovarlo. Quindi urgono i ringraziamenti.

Vorrei ringraziare il lardo, croce e delizia di Albe e della sua (defunta) cistifellea. Il miele insieme alle castagne, come piacevano tanto al mio babbo, capace di finirsi i barattoli da solo. La pasta fatta in mano che cuoce in un minuto e in un secondo ti rende chiaro quanto ti voglia bene chi la prepari per te. Grazie alle 5 bottiglie scolate facilissimamente e alla Signora Mascarello, regina indiscussa del galateo e dell'ospitalità. Grazie ai sommelier francesi e alle idiozie che regalano ogni volta. Grazie a chi non mi fa mai pesare di bere troppo (acqua e non). Grazie all'Eau de camino che rimane dovunque, così posso ancora sentire sul mio golf il profumo della giornata di ieri. Grazie al gatto (ma don't say cat if you don't have in the sac). Grazie ai cardi, alla dietologa che ci ha regalato un pranzo incredibile praticamente a calorie 0. Grazie ai viaggi e ai fotografi. Agli aziendalisti e a chi scopre i tunnel aziendali, dove ancora giacciono dimenticate ossa di sindacalisti.
Grazie al panorama astigiano capace veramente di aprirci gli occhi, il cuore. Grazie a Zonco, Ronco, Tonco e alla volta che ci è preso quasi un Cocconato. Grazie all'abbiocco, ai sigari e a tutte le cose che ora non mi vengono in mente.
Grazie ai Krumiri rotti e a chi piace guidare nella nebbia.

Insomma, grazie agli amici, perché senza di loro saremmo la metà di quello che siamo.

S.

venerdì 18 novembre 2011

Vittime eccellenti/4


Si arriva tardi perchè ci si vuole presentare con una torta. Potrei andare a comprarla ma preferisco fare qualcosa con le mie mani.
Un prosecco spontaneo e brillante come un amico che in piena notte cerca in mutande di catturare un criceto che si nasconde negli anfratti più incredibili della casa.
Un naso un po’ timido, ma al primo assaggio si apre in bocca fine ed elegante, un equilibrio sul filo del rasoio tra acidità e un velo morbido di tannini, gli uni in perenne contrasto sugli altri. Una semplicità pensosa e profonda, come chi ha uno zoo in casa, un bassotto generoso e un padre scoperto a bere il caffè al bar dopo essersi fatto spianare la strada predicando ritardi catastrofici.
Un Recioto di Soave da commozione, dolce come strappare al caso un bacio su una pista d’aeroporto.
E così facciamo notte, notte fonda.

Prosecco “del contadino di Matte” vinificato zona Conegliano – 80 punti
Kellerei Terlan - Montigl Riserva AA DOC Blauburgunder 2008 – 86 punti
Balestri Valda – Recioto di Soave DOCG 2007 – 85 punti

sabato 5 novembre 2011

domenica 23 ottobre 2011

Certezze

Matrimonio a Roma. Le istruzioni erano chiare: Piazza del Popolo, la chiesa con la cupola, davanti all'obelisco.
Ecco, appunto.


PS: in ogni caso, alla fine ce l'abbiamo fatta... tanti auguri a Laura e Paolo!!

venerdì 21 ottobre 2011

Un bicchiere al giorno

È noto ai più che Albe beve poco. Mi correggo: che Albe beve poca acqua (il vino lui non lo considera nemmeno come una semplice bevanda, ma non è questo il momento di parlarne).

Reduci da giorni e giorni in ospedale, finalmente anche un'autorità medica ha condannato questa brutta abitudine. Senza prezzo vedere la faccia da beagle di Albe mentre il dottore gli faceva lo stesso esatto cazziatone che gli faccio io quotidianamente sull'importanza di bere acqua e ancora più senza prezzo il suo non poter rispondere (come fa di solito con me) e incassare tutto a coda bassa!!!
Piccole soddisfazioni umane, ma che ci volete fare?
Comunque siamo d'accordo che piano piano si impegnerà a bere sempre di più.

Ieri sera torniamo a casa e io gli preparo con tutto l'amore che ho un succulento bicchiere di acqua gassatina ma non troppo (e una fetta di dolce, giusto per indorare la pillola). Il compito è piuttosto semplice: berlo prima di andare a dormire.
Io mi perdo ne "La vita è una cosa meravigliosa" di Capra, che mi tiene in piedi fino alle 2 (senza riuscire più a dormire fino alle 3,30, domandandomi - occhi fissi al soffitto - se io mai potrò scrivere una cosa del genere).

Stamattina ci svegliamo. Bacino, burro (poco, poco, tranquilli!), colazione, risate. Ordinaria amministrazione. Spolverando la libreria (anche questa, purtroppo, ordinaria amministrazione) trovo il bicchiere di acqua, intonso. Il dolce invece, nemmeno a dirlo, spazzolato.
No, vabbé, qui ci sono gli estremi per il cazziatone della mattina. Ecchèdiamine! Questa roba è salute!
Lo voglio chiamare con tono imperioso e secco "Alberto?", ma, non so perché, mi sfugge un "Amore?".

Albe arriva, con i suoi baffi nuovi da piccolo dittatore buono e mi guarda. In vestaglia, con lo straccio per spolverare e il bicchiere intonso in mano. Sorride e mi dice:
"Amore mio! Oggi abbiamo imparato una lezione. Che non è mai troppo tardi per bere un bicchiere d'acqua!"
Detto questo zompa verso di me, prende il bicchiere e lo beve tutto d'un fiato. Mi dà un bacino e torna alle sue cose.

Non è mai troppo tardi per non arrabbiarsi. Non è mai troppo tardi per rimediare.
Sarà anche un po' paraculo, ma bisogna dargli atto che ha ragione. E un certo stile.

Buon bicchiere a tutti!

S.

PS: Un ringraziamento particolare a Clarence, di cui sospetto lo zampino per avermi fatto uscire di bocca un Amore?, piuttosto che un Alberto?.

venerdì 14 ottobre 2011

Avviso per la particella di sodio

Ma secondo voi è possibile tagliarsi il palmo della mano alle 8,47 della mattina, per aprire una - apparentemente - innocua bottiglia di acqua?
Secondo me, rispolverando i miei ricordi di teoria tutela del consumatore, ci sono gli estremi per una denuncia.

S.

giovedì 13 ottobre 2011

Il mio piccolo Big Bang

Ieri ho vissuto il mio piccolo Big Bang personale e vi esorto a scoprirlo tutti, nelle vostre vite, nella vostra giornata (anche se vi sembra infinita, con una febbriciattola che si è affezionata particolarmente a voi), a lasciare che vi sconvolga, che vi scompigli un po' i capelli e che vi faccia un po' di calduccio ai piedi (beh, si parla di temperature elevate, mica da ridere!).

Tutto è partito da qui: da una discussione con la mamma sulla tecnologia.
Leggevo interessata l'articolo sugli Amish ribelli, ridendo al pensiero che questi, per farsi i dispetti, si tagliassero nel sonno barba e capelli (mio incubo costante alle elementari) e mia mamma commenta:
"Beh, questi non hanno nemmeno la televisione..."
Io commento - a voce alta - "Per quello fanno bene!"
In men che non si dica ci siamo ritrovate a discutere animatamente su nuove tecnologie e internet: la mamma arroccatissima sulla sua posizione (nonmiinteressanonlovogliosaperemeglioleggereunlibro) e io, da brava - quasi - nativa digitale che, testarda, continuavo a dirle che non si rende nemmeno conto di quello che la tecnologia possa fare per lei, che non sostituisce nessun libro, ma la arricchisce di altri servizi. Servizi che lei non vuole nemmeno sapere quali potrebbero essere, prima di dire: grazie non mi interessa. Andiamo! Si è comprata un iphone e non ha mandato mai nemmeno un sms (NDA il 90% di quest'ultima affermazione è stato dettato dall'invidia che mia mamma abbia un iphone e io un nokia scassato)!

Ieri però, proprio in uno di quei minuti uguali di tutta la giornata, uno di quelli dove non sta succedendo nulla di sconvolgente, un messaggio. Il Big Bang.
"Ciao, buon giorno come vedi ho imparato ha mandare messaggi! Con tanto punteggiatura. Un grande bacio a tutti e due"
E, un minuto dopo:
"Rileggendo ho visto un grosso errore conservalo me lo potrai sempre ricordare"

Buona giornata (e buon big bang!) a tutti!

S.

PS: Per la mamma Tati: hip hip...

martedì 4 ottobre 2011

Gadget e nuvole

Uno degli aspetti positivi di lavorare in una grossa multinazionale è poter usufurire di alcune attività di training in stile molto yankee che coniugano la formazione metodologica e la creazione di un sentimento di mission aziendale molto identitario.
Devo ammettere che possibilità del genere permettono, principalmente, di fare gruppo con altri personaggi che dal totale anonimato piombano nella tua vita perchè costretti a perseguire obiettivi comuni. L'esperienza alla fine dei conti è piacevole.
Tra le parti imperdibili dei corsi, la consegna dei gadget è però quella che genera il massimo coinvolgimento. Ricchi consulenti farebbero a manate per accaparrarsi la chiavetta USB da 512 MB con il nome dell'azienda, il blocchetto di appunti brandizzato o l'esclusivo cordone portabadge. E quando c'è di mezzo il gadget, non farne incetta è sempre una sconfitta. O molti gadget o morte.

Nell'ultima occasione che mi è capitata, avevo subito adocchiato la polo che gli istruttori sfoggiavano, tinta delle colorite sfumature aziendali. "Deve essere mia", ho pensato con la bava alla bocca. Al primo coffee break, ero già al desk a chiedere se ce ne fossero disponibili, domanda alla quale mi è stato risposto in maniera insoddisfacente (i.e. non me ne sono andato via con la polo addosso).
Al secondo giorno di training, gli istruttori hanno annunciato a sorpresa la possibilità di avere le magliette, facendone opportuna richiesta su taglia e colore alle segretarie del corso. Sulla taglia S non avevo dubbi (le spalle non mi hanno mai tradito), sul colore ho invece optato entusiasticamente per l'arancione-brillante-operaio-del-cantiere-stradale, per uscire dal dualismo blu/beige che contraddistingue il mio guardaroba. Finalmente un gadget aziendale di livello, da sfoggiare in circostanze adeguate (la vendemmia, per esempio, o la pulizia della soffitta).
Così, un paio di settimane più tardi, mi è arrivata una mail sulla posta aziendale, qualcosa del tipo "C'è un pacco per te". Eccitazione. Passo dalla sede prima di andare dal Cliente sfiammellando con Giuliano (il mio motorino).
Ritiro il pacco dall'ufficio posta. Lo palpo. Il tatto non mente. E' una polo, sicuramente. E' lei.
Strappo la parte superiore... butto l'occhio dentro. Sbircio. E' rossa. Brandendo la busta, comincio a lamentarmi e a sfogare la mia amarezza parlando tra me e me mentre butto il pacco nello zaino. Partendo da... "ma io avevo richiesto quella arancione", comincio a congetturare nel mio intimo, favoleggiando su dettagli inverosimili riguardo alla priorità che mi sarebbe stata dovuta per via della rapidità della richiesta e amenità del genere, spingendomi su ampie considerazioni sull'incapacità di alcune persone a eseguire le operazioni più semplici. Pensieri che a posteriori giudico di una meschinità senza precedenti.

Quando la sera torno a casa, recupero la busta dallo zaino e tiro completamente fuori la polo. La guardo di nuovo.
Ed ecco che d'improvviso la semplicità di un messaggio anonimo su un post-it mi fa capire che non sempre è la cialtroneria a guidare le persone, che a questo mondo non esistono solo fole di idioti e che a volte ci sono cause maggiori per cui tanti non sono dei colpevoli, ma -come me- delle vittime.


domenica 2 ottobre 2011

Vittime eccellenti / 2


Toros - Collio DOC Friulano 2008
Abbazia di Novacella - AA Valle Isarco DOC Sylvaner 2010

Se ne sono andate insieme, novelle Eurialo e Niso. Nate distanti, ma accomunate dall'essere prodotte in terre di confine, l'una in Venezia Giulia, l'altra in Alto Adige, fino all'ultimo non hanno mai abbassato la testa né hanno tradito la prima fiera impressione.
Prima Luigi, poi anche Franz a cena, a confrontarsi sulla sceneggiatura, sulla caustica comicità dei Soliti idioti e sulla tenuta delle gomme Pirelli in curva.
Giallo cristallino verso il dorato, il vino di Toros è grasso e pensoso, lungo in bocca, aromatico come sanno essere i vini di quella terra che io e Saschia amiamo tanto. Anche quest'anno 18 punti sulla guida dell'Espresso. E come dalla nostra conversazione si succedevano le più disparate divagazioni, come suole accadere tra amici, quelle per le quali non c'è bisogno di sforzassi, ma tutto scorre via tranquillo, così ci ha accompagnato un interminabile susseguirsi di profumi di frutta gialla, di miele di acacia, di ginestra e di salvia. Lo finiamo quasi subito, tanto è invitante alla beva.
Il Sylvaner ci mette del suo per tenere testa all'altro. Vino perfezionista e nervoso, quasi teutonico nella sua fattura, non regge il confronto con il precedente per struttura e mineralità. È quasi un torto scolarselo dopo il friulano -mio errore di pianificazione-, ma per fortuna siamo molto più a nord di Bolzano, fa davvero freddo e non ci sono spazi per bonarie interpretazioni , nella cantina sociale chi non lavora alla perfezione non ha spazio. Ne esce fuori un vino buono ma non impegnativo, veramente ben fatto e con un prezzo da peso medio nella grande distribuzione.
Difficile trovare difetti a questi due eroici combattenti. Uno fatto da tradizione contadina secolare, l'altro inspessito da germanica scienza. Così, mentre la serata procede, non ci mettiamo neanche di impegno a resistere a due esperienze così appaganti. Cadono uno dopo l'altro e quasi non ce ne accorgiamo.
89 punti il tocai, 82 il sylvaner.

sabato 24 settembre 2011

Dio 3.0

Volevamo condividere con voi un'affermazione che ci sembra assolutamente innovativa. Geniale.

Dio c'è e ha la banda larga.

Salbe

giovedì 22 settembre 2011

Un massacro

Mercoledì sera. Cinema, cinema, cinema, soprattutto dopo aver scoperto (dopo 2 anni) che con la 3 posso vedere un film gratis alla settimana. Vabbè, meglio tardi che mai.
Con due amici andiamo a vedere Carnage. Sull'onda dell'esaltazione (e convinti che potrebbe scalare la top ten, dopo aver sentito la battuta "ieri ho visto in TV Jane Fonda, dopo di che volevo comprare un poster del Ku-Klux-Klan”) puntiamo subito la libreria per comprarci, come tre bravi scolaretti, "Il Dio del massacro", da cui è tratto il film. Opera teatrale, nemmeno 100 pagine.
Ci salutiamo e ognuno torna alla sua vita o alle sue battaglie, che dir si voglia. Infatti so che a casa c'è un mostro che mi attende, sul divano, da più di 4 giorni.

Driiiiiiiiinn. Maledetta sveglia. Stamattina non sopravviveremo entrambe. O tu, o io.
Messaggio di Tommaso. Io ho finito il Dio del massacro. E tu?

Io ho finito la roba da stirare. Circa alle 2 di notte.

Non so se sia stato un Dio, ma sicuramente è stato un massacro.

S.

mercoledì 21 settembre 2011

Vittime eccellenti / 1


Ferrando - Cariola Erbaluce di Caluso DOC 2008

Pietro a cena. Mai pesante, poco alcol e la bella glicerina dovuta alla leggera sovramaturazione lo fanno scorrere in bocca con grande facilità.
Il tempo vola, si parla di cinema e di libri, di estate e di vecchi amici che non si vedono quasi più. Serata intensa, lunga, che lascia in bocca un vivace ricordo sapido, di quelli che sfumano con difficoltà. E così stamattina, quando andavo a lavoro, ancora lo sentivo.
84 punti.

Vittime eccellenti / 0

In T5 abbiamo una cantina invidiabile. Tante bottiglie conservate gelosamente, in attesa di ospiti con i quali stapparle. Che la gente ci creda o meno, infatti, io e Saschia non beviamo mai quando siamo soli.
La mattina successiva alla degustazione (a casa non si beve ma si degusta), quando scendo a prendere il motorino, lascio il vuoto nei contenitori del vetro in cortile.
Per bere non spendiamo mai grandi cifre, ma di sicuro si tratta di qualcosa quasi introvabile fuori dalla zona di produzione. Così mi capita sempre di provare una fitta al cuore quando lascio nel bidone le ricercate etichette in compagnia dei morettoni, delle nastro azzurro e dei bottiglioni San Severo rosso 2 litri provenienti dai condomini quadrumani e dai trucidi locali sotto casa.
I grandi personaggi non si seppelliscono nelle fosse comuni ma nei mausolei. Nelle prossime puntate proverò a dare degna sepoltura ai nostri eroi.

mercoledì 14 settembre 2011

La bellezza della verità


La verità ha i capelli spettinati e il segno degli occhiali sul viso. Troppo sole e troppo forte per poterne fare a meno. La verità non si inchina ma procede, testarda. La verità non fa collezione di premi, ma li restituisce, pensando che forse sarebbero buoni solo a impolverarsi. E, si sa, alla verità spolverare piace poco.

Mentre l'articolo più cliccato di oggi (perché oggi effettivamente le cose si cliccano, non si leggono) sul corriere è "il regalo di Pato alla prima di Barbara" (e il dramma è che tutti hanno già capito di chi stiamo parlando, quando invece l'unica domanda plausibile a questa affermazione dovrebbe essere: Barbara chi?), c'è una notizia che passa inosservata, come passa inosservata la verità decine, centinaia di volte al giorno.
È morto Walter Bonatti, una leggenda dell'alpinismo italiano. Un uomo per cui l'onore e la lealtà hanno significato qualcosa di concreto, nella vita. Qualcosa di tangibile, che non ha voluto rinchiudere in una riconoscenza.
Le targhe tenetele voi, avrà pensato, per salire sul tetto del mondo mi impicciano e basta.
"La montagna mi ha insegnato a non barare, ad essere onesto con me stesso e con quello che facevo".
Un uomo che non si è venduto: questo non è come scalare una montagna. È possibile.

S.

lunedì 12 settembre 2011

122 pagine

Devo dire che fa un certo effetto, dopo mesi di lavoro a testa china, uscire un attimo dalla bolla di attivismo dove ci si era accomodati e guardarci dentro.
Fa un certo effetto scoprire che abbiamo costruito una storia. La prima storia. Magari imperfetta, con tanti difetti, ma vera, dove i personaggi non sono più le ombre di una fantasia, ma figure che girano per casa, chiedendo un caffè o rubando sigarette.
Fa un certo effetto pensare che potrebbe non funzionare, che sarà tutto così difficile, che in pochi ce la fanno e, diciamocelo, perché tra questi ci dovremmo essere proprio noi?
Fa un certo effetto realizzare, di punto in bianco, che hai lasciato la via vecchia per la nuova.

Grandissima scommessa. Avventata forse?
Forse. Ma ho appena scoperto che io ci credo e che ci ho puntato sopra. Questo fa davvero effetto.

S.

mercoledì 7 settembre 2011

Fidarsi è bene, non fidarsi...

Ebbene sì, eccoci di ritorno a Milano. Cioè, eccomi. Cammino per la strada e mi pregusto la tranquillità della mia casina, T5. Piccola ma accogliente.
Entro, pronta a distendermi sul divano, segno ancestrale della presa di possesso di un luogo, quando qualcosa mi blocca. Qualcosa... altro che qualcosa. Un puzzo come nessun altro puzzo. Un odore insopportabile.
Che sarà, mi domando? Sarà mica - avendo preventivato di stare via da casa 5 giorni che poi sono diventati un mese - qualcosa andato a male nel frigo? Lo apro e benché non ci fosse proprio odore di gelsomino, il puzzo non proveniva da lì. Dopo aver buttato via, con il cuore in mano, tre porri, continuo la mia ricerca.
Apro con nonchalance uno scaffale per prendere il rotolone e rimango tramortita. Le patate.
Le patate, ovvero l'alimento che dovrebbe vincere qualsiasi condizione temporale, qualsiasi evento esterno, caduta di governo, temperatura, il cibo dei poveri, delle carestie. Il tubero più adattabile, quello che ti fa sempre andare sul sicuro, di cui ti fidi ciecamente.
Colpita alle spalle, altro che idi di marzo. Le patate mi hanno fregato, contribuendo a popolare T5 di graziosi bachetti e farfalline.
"Ma le patate non vanno mai a male" mi dice giustamente un'amica. Anche io lo pensavo. Infide patate.

Ragazze, il porro lo capisco, ma da voi proprio non me l'aspettavo.

S.

PS: Ho un'altra domanda per voi. È normale che un uomo (che è anche degustatore ufficiale e quindi si tende a pensare che con il naso qualcosina ci sappia fare) sia in grado di non riconoscere un retrogusto cadavere-in-decomposizione-in-cucina?

domenica 4 settembre 2011

Il regalo di anniversario

Cos'è mai questa mania di fare regali per gli anniversari?! Vecchi dentro, gerontici, quasi al confine con il preistorico. La vera svolta, fatevelo dire da chi se ne intende, è farli i regali, invece che riceverli. Aprire il cuore, le borse e i portafogli.
Così, per festeggiare in modo degno l'anniversario di matrimonio, ho scelto questa strada, in un percorso a difficoltà progressive.

La prima: via il marito.
Giusto, perché festeggiare in due quando si può benissimo pensarci da soli? È il principio base dell'operatività: chi fa da sé fa per tre. O non ci vorremo mica ridurre come gli nepalesi, che stanno in 5 a fare quello che sarebbe ridicolo anche per un bambino?

La seconda: via il cellulare.
Massì, abbandoniamo il simbolo dell'era contemporanea, della comunicazione liquida, del flusso di parole. Tanto, direte voi, non rispondevi mai!
Massì! E se poi l'obiettivo è darlo a due zingari che, poverini, chissà da quanto non facevano una telefonata a casa loro... beh, come non sentirsi subito persone migliori? Vi confesso, ci sono rimasta un pò male perché non mi hanno rubato anche la borsa.

In questo modo, se avevo una chance di sentire qualche voce amica che mi chiamasse per ricordare insieme il 4 di settembre di un anno fa (visto che, ripeto, non ho il marito), l'ho definitivamente persa.
Ma io sono una persona positiva e quindi prendo il buono delle cose. E il buono è: furto = denuncia ai Carabinieri di prima mattina. Qualche perla deve venire fuori di sicuro. E infatti. I Carabinieri sono una sicurezza. Non ti deludono mai.
Caserma, ore 10,45. Solite domande, solite risposte. Gongolando già perché avevo fatto il mio dovere di bambina ordinata conservando la scatola del cellulare, mi viene consegnata la denuncia, che riporta:

"Con la presente denuncio il furto del mio telefono cellulare marca blablabla. Lo stesso veniva asportato da un tavolino presso il locale "La loggia del pesce", sito in zona S. Ambrogio, mentre mi trovavo intenta a conversare con la mia amica."

I fiorentini sanno bene che La Loggia del Pesce non è un locale.
"Ma coss'è? 'na pizzeria?"
No, è una loggia.
"Un ristorante di pesce?"
No, è una loggia e sotto ci sono dei tavolini.
"Vabbuò."

Secondo voi, tralasciando il fatto che leggendo ci faccio la figura della cerebrolesa che pensava solo a chiacchierare con la sua amica, la denuncia di furto in un posto che non esiste è valida comunque?

S.

PS: A tutti coloro che leggono questo post chiederei gentilmente di mandarmi una mail con il loro numero di cellulare e magari anche con quello di chi pensate mi potrebbe servire! Passateparola!

A contare si inizia da uno



Cliccare due volte l'immagine per ingrandire e leggere bene.

giovedì 1 settembre 2011

Piuttosto che parlare banalmente come voi mi taglio la lingua / 2

"Piuttosto che".
La prima volta che in mia presenza un amico disinvolto e gaudente usò "piuttosto che" con valenza avversativa, anni fa, rimasi sbigottito, convinto di aver capito male. "Sai, Albert, questo è un modello fantastico. Lo puoi usare da un sacco di parti: in progettazione, piuttosto che in fase di test, piuttosto che in produzione...".
Piuttosto che.
Il bel mondo straripa di piuttosto che, con quel retrogusto snob che sa molto di famiglia facoltosa del nord. Percepisco che l'allure estremo è raggiunto quando la frase si interrompe a metà, con un piuttosto che che lascia presagire le altre numerose possibili alternative, come fosse l'etc. delle conversazioni di alto livello.
Preferisco rimanere a casa piuttosto che andare a lavorare. L'esempio non è edificante ma è chiaro. Semplice. Non o l'una o l'altra, ma, tra le due, una più dell'altra.
Piuttosto che, potius quam.
L'indifferentismo ci ha consegnato una locuzione deforme. Il bianco e il nero delle nostre preferenze si sciolgono in un grigio anonimato.
Accettare il "piuttosto che" avversativo è avvallare che la cacofonia prenda il sopravvento sull'armonia di un semplice "o", diretto come il suo frequente utilizzo richiederebbe.
Accettare il "piuttosto che" avversativo è accettare che il bello non si accompagni più al giusto ma dipenda dalle mutevoli inclinazioni del momento.
Accettare il "piuttosto che" avversativo è condividere un'entropia linguistica che porterà l'universo a una morte per omologazione.
Non sempre assisto silenzioso a questo suicidio. Complice una certa confidenza, famelico, mi avvento sulle mie prede e ci gioco come il gatto fa col topo. Semino il dubbio e la casa costruita sulla sabbia si disfa rovinosamente e ciò che resta è un farfugliato "sì, però si dice...". Non basta. Per i seguaci del piuttosto che sarebbe appropriata la gogna e quattro ore di conversazione coatta con Marco Travaglio. No, forse no, questo sarebbe davvero troppo severo.

A.

ps. a chi volesse redimersi o abbandonare la guerra silenziosa, cominciando ad alzare la voce, chiedo di unirsi a noi qui e qui.

(2 - continua)

lunedì 22 agosto 2011

La gente mormora

Per la serie "Sapore di mare", un aneddoto tratto dai 4 giorni di mare che ci siamo fatti. Un aneddoto che mi ha divertito, sconvolto e fatto pensare al segno dei tempi e a come la nostra società meriti, nell'ordine, di decomporsi, distruggersi ed estinguersi.

Forte de Marmi, Versilia. Cammino, come è mia abitudine fare, per la battigia. Generalmente da Fiumetto, dove si trova la mia umile tenda, mi dirigo sempre verso il Forte e il mio punto di ritorno si assesta più o meno tra la Capannina e il Pontile. Proprio in questo lembo di terra, giace il bagno Annetta, bagno mitico, storico, superipermegafashion. Qui la spiaggia non è abbrutita da ombrelloni, i bambini non hanno palette o secchielli normali, ma griffati swaroski, non ci sono sdraio ma divani, cose che noi mortali non potremmo nemmeno sognare. Quasi quasi anche la sabbia non scotta ma viene mantenuta a temperatura costante, in modo da attivare la circolazione plantare.
Qui tutti i marchi più blasonati (e stiamo parlando di robina seria, mica puccipuccibaubau) organizzano i loro eventi vippissimi. Roba da far impallidire il Twiga. (Si dice che il bagno Piero abbia quasi tentanto il suicidio per annegamento).

Insomma, cammina cammina, mi ritrovo davanti al Bagno Annetta e noto che è stata issata una bandiera.
Da sempre le bandiere sottolineano un'appartenenza a qualcosa e anche il B. Annetta osserva questo codice: l'appartenenza al nutrito gregge degli imbecilli.
La bandiera incriminata riporta solo una frase (chiaramente in colori pastello tinta con gli asciugamani): LA GENTE MORMORA.
Fermiamoci un attimo a riflettere (attività rara da queste parti del litorale). Chi sarebbe che mormora? Il volgo? La povera gente che non rientra nella lista ospiti stagionali? I poveri affamati di notorietà, che cercano un modo per intrufolarsi nella festa di fine estate più chiaccherata (indovinate un po' di quale bagno?)? E soprattutto cosa mormora? Mormora di quanto sarebbe bello essere parte di questa umanità bella, magra e abbronzatissima, che si rigira su chaise longue e cuscini anatomici?
Sperando che le persone, anche in Versilia, abbiano di meglio da fare, come rispondere?
Ce lo insegna il mio idolo assoluto. "Mormora, la gente mormora, falla tacere praticando l'allegria".

S.

PS: Consiglio ai proprietari del BA (Bagno Annetta). Non sarebbe stato male, dopo aver fatto fare i teli per asciugarsi le ascelle da Pinko, provare a scrivere i testi del sito, almeno in un italiano comprensibile.

martedì 16 agosto 2011

Yellow is the new black

Albe è un coolhunter. Primo tra tutti ha riscoperto un colore per troppo tempo dimenticato. E mentre qui, in Versilia, al Forte, tutti si vestono di nuances beige e, in alternativa, dell'immortale bianco, pochi metri più in là, noi riscopriamo il giallo. Un colore complesso, difficile da capire. Non per tutti.
Ma con il fisico di Albe, che problemi volete che ci siano?
Il mio intrepido marito non si è accontentato di una maglietta. Integralista, come nel resto, ha deciso di sfruttare tutte le capacità del suo fegato ed è diventato tutto giallo.

Ho sempre sognato di avere un marito come Homer Simpson!

S.

lunedì 15 agosto 2011

Pranzo di Ferragosto


Antipasto
Glucosio anidro

Tris di primi
Cloruro di Sodio
Cloruro di Potassio
Cloruro di Magnesio e Calcio

Secondi
Selezione di Cloruro e Acetato

Dessert
Acido Acetico

S.

PS: Cucina molecolare? Roba da dilettanti!

domenica 14 agosto 2011

Camera 27


Benché la discussione sulle nostre vacanze, K2 o Salento in bici, avesse acceso gli animi di tutti, alla fine la scelta per la nostra luculliana settimana di ferie è caduta sull’immortale Versilia. Ma con un tocco di creatività.
Stanchi delle nostre case, abbiamo optato per una soluzione last minute che ci è costata cara. Ma, si sa, sui viaggi non si risparmia.

Svegli alle ore 2,38 della mattina. Coda di 9 ore. Una concorrenza spietata. Competizione pura. Forse anche qualche morto (anche se non possiamo giurarlo). Tutto vero ma alla fine abbiamo vinto.
E la stanza 27 all’H. Versilia è finalmente nostra.

S.

PS: H non come Hotel, ma come Hospital.

venerdì 5 agosto 2011

La nascita dei miti 1 - l'idraulico

Tutti nella loro vita, almeno una volta, hanno sentito (o fatto) la simpatica battuta dell'idraulico. La riassumo brevemente. "Ah, ah, ah, tu zitto a lavorare e, tèc, tua moglie chiama l'idraulico!". Senza dubbio, una battuta molto edificante.

Ci sono alcune cose di questo mito che non mi sono mai tornate. Punto primo. Assumendo che, come ci dice il mito, la vita sessuale degli idraulici sia molto attiva, viene da chiedersi come mai allora non presidino il loro posto di lavoro e come mai non se ne riesca mai a trovare nemmeno uno. Il mondo, stando all'assunto, dovrebbe esserne pieno.
Punto secondo. Come mail, una volta trovato, ci vogliono dalle 2 alle 3 settimane perchè si decida a venire a risolvere il problema? Cosa fanno nel frattempo, prendono informazioni sulla padrona di casa?

Sono lieta di annunciarvi che ho capito da dove si genera il mito.

Sabato pomeriggio. Io, Albe siamo con M&M (Matte e Marta) alla SME di Susegana (posto codice, andateci tutti). Albe si illumina e trova dei pezzi per aggiustare la lavatrice che, da qualche tempo, perde un po' d'acqua mentre effettua il lavaggio. Una cosina da niente che io, dozzinalmente (come direbbe mio marito), avevo ovviato posizionando in modo strategico un piattino sotto la giuntura del tubo che perdeva.
Albe si esalta e li compra tutti. Arriviamo a casa. Chiaramente, come quando un bambino ha i pezzi nuovi del lego, Albe ci si mette subito ad armeggiare. Parte esaltato, ma vedo che l'entusiasmo scende in picchiata. Dopo 20 minuti siamo al "Basta, non funzionano."
Azzardo un: "Amore, hai rimesso tutto a posto?"
Albe mi guarda, come se lo avessi offeso nel profondo: "Ovvio che sì."

Molto bene.
Due giorni dopo. SMS di Albe "Ho bisogno della camicia bianca. Puoi mandare la lavatrice?"
Io, già vestita da palestra con ipod nelle orecchie e mizuno ai piedi, con solerzia, la mando subito. Prima di partire controllo 5 minuti una cosa su internet. Mi accorgo che è tardi, metto un piede in terra e sento un inconfondibile CIAFF.
Guardo in terra. Un lago. Ma non un lago per dire che c'era un pochina di acqua. No, no, un lago!

Nell'ordine: maledico Alberto, chiamo Alberto per maledirlo e arrivo all'esasperazione quando mi dice: "Dai, tra mezz'ora sono a casa! Risolvo tutto io!"
Tra mezz'ora sei a casa? Tra mezz'ora a casa ci saranno anche i delfini e le cozze sulla parte bassa dei mobili se non ci muoviamo.
Per togliere l'acqua si sono rivelati inutili, nell'ordine: stracci, mocio, spugne e asciugamani. Non restava che una soluzione. La granata e la cassetta. Ho spazzato via l'acqua da casa.

Tirando le fila, dico: mettiamoci nei panni di una povera donna che si trova in una situazione del genere. Secondo voi opterà per:
Istinto A: macchiarsi dell'omicidio del marito
Istinto B: macchiarsi di adulterio con l'idraulico (appena decide di arrivare)
Istinto C: macchiarsi pantaloni, scarpe, tappeti, magliette preferite, cercando di tamponare l'acqua per istinto di sopravvivenza.

Io sono finita nell'istinto C, ma ho ancora molto da imparare...

S.

mercoledì 27 luglio 2011

La nascita dei miti

Dopo l'acclamatissimo Premio Fava, che, ricordiamolo, riprenderà in settembre (per dare modo ai partecipanti di fare ritiri e preparazioni), nasce una nuova rubrica.

La nascita dei miti.

Vi siete mai domandati il perchè dell'insorgere di alcune leggende metropolitane che non ci si riesce nemmeno a spiegare come siano partite, ma popolano il nostro cervello praticamente da sempre? Le diamo per assodate, non come delle uova, ma come una parte del bagaglio di conoscenze di base che è necessario conoscere a menadito per poter vivere nel mondo come degli integrati.

Non nego che ci sia una certa soddisfazione quando ci si rende conto da dove scaturiscano questi miti, questi racconti che popolano la memoria collettiva, che li considera non solo verosimili, ma potenzialmente necessari.

Il perchè di una rubrica? Alla luce dell'eroica esperienza quotidiana, dei meravigliosi fatti che avvengono quotidianamente, se si presta solo un po' di attenzione, si riesce a scoprire da dove nascano questi miti e a spiegarsi tante cose. Dare un significato a quello che ci sembra scontato. Scostare il velo. Aprire il forziere. Insomma, quello che vi rende meglio l'idea, il messaggio lo avete capito.

Partiamo quindi.

Se avete avuto anche voi qualche epifania su come nascano questi miti, mandateci una mail! Verificheremo e li tratteremo presto!

mercoledì 1 giugno 2011

Fantasie revival

Vorrei possedere un bar a Casablanca, essere vestito con un elegantissimo smoking bianco, bere in continuazione cognac e avere un pianista negro molto apprezzato che mi chiama "padrone".

giovedì 26 maggio 2011

Vicini di grattacielo

NY. La città che non dorme mai. Infatti, i nostri vicini di grattacielo lo sanno perfettamente. Sono le 2 di notte e questi sparano a tutta randa musica dance. Ci hanno anche invitato da loro, to have party together, ma francamente non me la sono sentita. Il mio guardaroba non me lo permette.
Buonanotte a tutti.

martedì 24 maggio 2011

10 e lode

Una moglie che il giorno prima di partire per New York ti compra il latte fresco per il lunedì mattina è veramente di un altro pianeta.

giovedì 14 aprile 2011

Animali di casa / 2


Tutte le mattine Otto ci ringrazia perchè non fa una vita da cani. Non gli si può dare torto. Se sei nato barboncino il tuo destino dovrebbe già essere segnato. E invece no. Io e Saschia gli abbiamo ritagliato un ruolo molto funzionale in casa e per questo ci è riconoscente.
Come prima cosa abbiamo abbinato alla sua mise fragola un collare pistacchio che lo slancia e contribuisce a mantenere uno stile casalingo molto identitario.
Quindi gli abbiamo consegnato il ruolo di pulitore evoluto, trasformandolo in una scopa d'assalto. Riesce bene a mascherare una certa gelosia che prova per l'aspirapolvere per il quale ho più volte manifestato un'odiosa preferenza.
Figlio di una madre tedesca che quando era piccolo era solita leggergli Il gatto con gli stivali, Otto è assai esigente con se stesso. Molto dedito al lavoro, è piuttoso raro che si attardi con gli amici fuori a bere un boccale di birra. Le sue sortite al parchetto di Via Tabacchi si limitano a quelle necessarie ai bisogni di natura, a meno di sporadiche visite per leggere un libro (autori preferiti: Mann e Kafka).

mercoledì 13 aprile 2011

Chi più ne ha più ne metta



T5 stanotte ha ospitato 7 persone. In 37 mq di casa abbiamo dormito, realmente, in 7. 4 adulti e 3 nani (anche se vi assicuro che Elia tanto nano non è).
E siamo tutti vivi (Livio compreso che comunque è a rischio tisi).

Stanotte si bissa. Qualcuno si vuole unire?

S.

lunedì 11 aprile 2011

Marcello, come here!

È uno splendido lunedì pomeriggio di Aprile a Milano.
Il sole splende e ha addirittura asciugato due, dico due, lavatrici. Che desiderare di più dalla vita che un bucato asciugato al sole?

Solo una cosa si frappone tra me e il Nirvana. Marcello.
Marcello è il bambino degli iper ricchi del circondario. Gli iper ricchi che hanno una casa a pian terreno, visibile dalla nostra popolarissima terrazza di casa di ringhiera, all'interno di una corte. Silenziosissima. Hanno una casa fighissima, un cane fighissimo, vestiti fighissimi, 3 macchine fighissime (e loro sono in 2). Non si capisce che cosa facciano nella vita visto che sono sempre a leggere il giornale in ciabatte o in completo da tennis, pronti a scattare per un doppio, sempre con le racchette in macchina. Hanno anche due bambini: di una ancora non sappiamo il nome, il secondo è Marcello, un odioso bambino di un'età compresa tra i 2 e i 4 anni. Marcello, se vuole un cosa, urla. Ma non urla, punto. Marcello URLA. Marcello può spaccarti le orecchie, Marcello supera il cortile, i muri, la porta blindata. Marcello supera anche il muro del suono. Bene, in questo splendido lunedì pomeriggio di Aprile a Milano, Marcello sta urlando come un pazzo.

In questo panorama di disperazione, la nostra società con le sue spinte new age di ascolto e dialogo ci viene in soccorso. Se Marcello urla (generalmente perchè non gli viene dato qualcosa che chiede) quale soluzione migliore di organizzare una tavola rotonda, lui, sua sorella e sua mamma? Certo! È 20 minuti che di fronte a questo nano malefico che non smette di urlare ho sentito le seguenti frasi: "Marcello, caro, dimmi cos'hai.", "No, no, birbantello, non si urla", "Marcello, non è bello urlare. Dimmi di quello di cui hai bisogno" e la migliore: "Marcello parlami".

Parlami. Ma come parlami??? Marcello non sa parlare. È un bambino, Santo Cielo, qualcuno può iniziarlo a trattare come un bambino, dargli una manata e farlo smettere di urlare???
Marcello, come here! Un giorno io e te faremo i conti.

S.

lunedì 28 marzo 2011

Nella buona e nella cattiva sorte | Atto I

INT. T5, Milano - notte

Lei è stanca, tanto stanca. Le sue membra quasi non la tengono in piedi. L'orologio segna le 23:47 e lei è ancora al lavoro.
Un mal di testa sahariano. Sconfinato. Ma deve finire. Il suo dovere è quello. Le sue mani scivolano sull'asse, fino a sistemare anche i piccoli dettagli. I gesti sono sempre uguali ma ogni volta è come se fossero nuovi. Un attimo di attesa. È stanca tanto stanca, ma deve finire. Dalle 8 non si è fermata un attimo. Fedele, operosa, con la testa china continua quel compito ingrato ma utile. Anzi indispensabile. "Nella buona e nella cattiva sorte", ripete. Lei sa che sta facendo il suo dovere. Potrebbe essere in una qualsiasi balera ma no. Stoica. Il dovere prima di tutto.
Sa che ha quasi finito, lo sente. Si gira, con un sorriso (stanco anche quello). "Sarà l'ultima, questa" pensa.
Alza lo sguardo. Cade il merito, sembra che stia per svenire.

"Ma stiamo scherzandoooooooooo???????"

Andate via tutti. Lasciatemi sola. Non stavo cucendo palloni ma stirando camicie. Molto, molto peggio. Davanti a me ce ne sono ancora 17. 17, capito? E sono 4 ore che stiro. 4. Ma quante camicie può vere un uomo? Andate via tutti. Lasciatemi sola.

Ma rimanere insieme nella buona e nella cattiva sorte, vorrà mica dire che le camicie se le deve stirare anche il Signor Pistacchio?

S.

PS: Almeno facciamo 50, 50.

venerdì 25 marzo 2011

Animali di casa / 1


Da quando è entrata a far parte della famiglia, Eva ha sempre dato pochi problemi. Non è facile nascere serpente e mantenere un atteggiamento fedele e rispettoso.
Nell'economia domestica, Eva aiuta prevalentemente a bloccare il maestrale che entra a folate sotto la porta di casa.
Ancora non ha deciso cosa fare la prossima estate. L'altro giorno abbiamo visto che stava cercando annunci per una serpe alla pari in qualche paese del nord Europa.
Una volta mi ha confidato che quando era piccola voleva lavorare in un negozio di scarpe.
Detesta le feste di carnevale e soprattutto le mele.

martedì 22 marzo 2011

Banana Republic

Sono indignato.
E' una vergogna.
La civiltà occidentale, e in particolare quella italiana, -è noto- è moribonda.
Di fronte a certe evidenze, ritengo però che l'estinzione sia un atto dovuto.
Non avete idea di cosa parli?
Cliccate qui.

martedì 15 marzo 2011

Bella ciao

Sono le 19,50 di una tipica serata milanese. Piove. Sono reduce (più o meno consapevole) di 8 ore di lezione intense, oltre che un meeting per scrivere la sceneggiatura di Don Matteo. Me ne torno a casa in bicicletta, sotto la pioggia.
I soliti 4 piani di scale a piedi (per mitigare il senso di colpa di non essere andata in palestra). Sono a casa. Finalmente. Posiziono tutto sul tavolo per poter continuare a scrivere in tutta calma. Computer, acqua, occhiali, carote crude (sempre per il solito senso di colpa di cui sopra).
E mentre sono trasportata dalla mia ispirazione creativa, mentre penso a cosa potrebbe dire il Maresciallo Cecchini al Marchese Sanza, impenitente appassionato di corse di cavalli, sento delle voci dal ballatoio.

Non tutti sanno che io e Albe viviamo in una tipica casa di ringhiera milanese, una di quelle dove un ballatoio comune collega diversi appartamentini (faremo post ad hoc). Per ora vi basti sapere, prima di avere altri dettagli, che si può sentire tutto quello che succede fuori di casa, a patto che succeda a non più di 10 metri dalla porta.

Sento una voce che parla in milanèse, molto velocemente. Ordinaria amministrazione. Mi rimetto a scrivere.
"Sì, parlo di una visione condivisa, un modello bolscevico." La voce continua.
"Basta attese. Parlo di un approccio internazionale. Sai che i giovani stanno squartando il Nord Africa?!"
È decisamente troppo. Mi dispiace ma il Maresciallo Cecchini non riesce più a frenare la mia curiosità. La voce incalza.
"Come ti chiami?" Parla con qualcuno.
"Eva" (Eva è la nostra vicina!)
"Eva, questa è un'opportunità non un giornale. È quello che ti può aprire gli occhi. È Lotta Comunista!"

(O mio Dio, ha ragione il nostro Premier! I comunisti esistono! Di più, sono sul mio ballatoio e sono anche sola in casa!)
"Eva, questo è un invito. Non solo per Aprile, ma anche per Maggio, Perchè i lavoratori, tutti uniti, tutti insieme, faranno la libertà!"
Eva ride.
"Allora grazie, grazie mille. Ci vediamo per il Primo Maggio. E anche prima per quella cosa. Ciao Compagni!"

La prossima sono io. Tra loro e me solo 2 passi. Li sento. Gli avranno detto che mi trovo qua. Non potrò resistere a lungo. Albe, sappi che ti ho amato tanto (e che non ho ancora mandato la lavatrice).



PS: Vale come martirio questo?