sabato 31 dicembre 2011

Contributi di valore "tra innovazione e tradizione"

A riprova dell'esistenza di un fedele seguito, riporto un contributo inviatoci.

Rivoluzione - un altro mondo è possibile

Nuovo programma! Cambio di biglietto da Gerusalemme a Formentera! Playas arriviamo! Seeeeeeeeeeeeee!

venerdì 30 dicembre 2011

L'educazione prima di tutto


Supermercato ora di pranzo.

"Nicoletta, tesoro, aspettami un attimo qui amore. Torno subito, torno subito. Subitosubitosubito! Prendo solo un po' di cosine per la pappa e ce ne andiamo. Va bene Nico??!
Aspetta, tesoro, che ti apro un po' il giubbottino.
Vai, dammi due minuti, arrivo subito amore!
Non tenermi il broncio, su!"

Questa scena è successa veramente. Io c'ero.

Mio cognato crede che tra l'educazione di un cane e quella di un figlio ci sia poca differenza.
Qui a Milano, sempre avanti, hanno pure applicato la proprietà transitiva.
Pure troppo.

S.

PS: Che sciocca, dimentico di riportare anche la risposta di Nicoletta. Anzi, di Nico.

Bau.

giovedì 29 dicembre 2011

Vittime eccellenti/5


Stappare un Brichet di Casa Coste Piane è sempre un'emozione. E' il classico vino che a scatola chiusa verrebbe scartato, perchè non politicamente corretto. Ci sarà qualcuno che nella sua torbidità vedrà un vino malato.
I progressisti lo tirano per la giacchetta, ma Casa Coste Piane è un prosecco molto reazionario. E' l'archetipo di ciò che non si dovrebbe fare oggi secondo i dettami comuni, ma si fa lo stesso per amore della tradizione e della propria storia. E' un monumento alla libertà di spirito, è scegliere quello che si è sempre stati e conservare ciò che del passato portiamo dentro.
In bocca all'inizio è un vino scorbutico, come i colleghi che non si scelgono ma si trovano. E allora tocca adattarsi. Richiede di mangiarci qualcosa su, di condividere qualcosa. E allora si scioglie, rimane sapido e fresco, piacevole a bersi, semplice come semplici dovrebbero essere i rapporti di lavoro, scevri di sovrastrutture, di invidie, di bassezze. E più si approfondisce e più si dovrebbe ritrovare chi siamo veramente, come questa glera che prende il nome da un contadino piccolo piccolo, una bottiglia sul cui fondo abbiamo trovato tanti lieviti morti, che hanno combattuto, perdendo, la loro battaglia per donare a noi, creature di Dio privilegiate, un'emozione speciale.

Poi bevi una magnum di barolo e ti chiedi se il piatto la reggerà, se gli ospiti saranno abbastanza assetati da rendergli onore. E qui si fa una scoperta, perché finisce tutto. Questo bestione timido al naso -un po' di confettura, un po' di liquirizia e poco altro- in bocca sa il fatto suo. Sa essere un collega saggio, che parla poco e dispensa piano piano quello che sa. E' ancora un po' ruvido in bocca, ma non brucia, scalda con la sua strutturona densa. Così il mondo non sembra a due dimensioni, ma ne acquista una terza che dà spessore, peso e, soprattutto, senso.

Casa Coste Piane - Brichet Glera naturalmente frizzante... - 85 punti
Bovio - Barolo DOCG Villa Arborina 2005 Magnum - 88 punti

domenica 25 dicembre 2011

CDA | 25

BABBO


Quando, lontano da casa, chiamo mio padre babbo, sono oggetto della scherzosa derisione dei presenti. Qua al nord, babbo significa ben altro. Non so dove ci porterà la vita, ma ho sempre detto che se crescerò un figlio lontano da Firenze, mi dovrà chiamare babbo, come ha fatto mio padre, il nonno e tutti quelli prima di me.
Sarò sincero. Se mai un figlio mi chiamasse papà, allora:
1) gli rifilerei un manrovescio
2) gli farei presente che papà lo fa la tromba
3) lo butterei dalla rupe Tarpea

Babbo e papà sono due sostantivi semplici, come tutte le parole pronunciate dai bambini. Entrambi suonano semplici e familiari. Tuttavia, babbo è più complesso di papà, il suo suono seppur infantile è più articolato, come si conviene a una razzaccia più cervellotica e perfezionista.


Babbo, però, per noi è qualcosa di più. Babbo è un marchio di fabbrica. Babbo è il primo segno distintivo di appartenenza di una creatura. Diversamente da tante altre parole, delle quali qua ne vedete riportate solo alcune, babbo è la prima che è marchiata a fuoco sulla pellaccia dura dei toscani. Babbo è un epiteto identitario che richiama la nostra origine e ci segna indelebilmente per tutta l'esistenza. Passeranno gli anni, ma un babbo rimarrà sempre tale e non potrà mai diventare un papà.

E allora tra milioni di persone ci potremo riconoscere, magari nel grande assembramento che ci sarà il giorno del giudizio, quando saremo tutti là ad aspettare il nostro turno, sentendoci chiamare uno a uno. Potremmo sentire qualcuno che preso dall'ansia si maledica "me lo diceva, il mio po'ero babbo, che a fare il bischero si va all'inferno". Andremo allora ad abbracciarlo e gli diremo che, in fondo, anche se all'inferno ci toccherà andarci per davvero, almeno sappiamo che sulla terra abbiamo vissuto prendendoci gioco della vita e del mondo e che, almeno per qualche anno, abbiamo vissuto un po' di quel paradiso che è la toscanità.

sabato 24 dicembre 2011

CDA | 24

BISCHERO


Segno di amicizia e d'insulto insieme (a seconda se si parli con amici o nemici), non c'è una parola che, meglio di bischero, riassuma l'essenza del toscano, che ci faccia ricordare dalla nostra terra.
Ce lo ricorda con la forma: una C che non si aspira, per ricordare a tutti che in Toscana non esiste solo la coca cola con la cannuccia corta corta. Ce lo ricorda con la sostanza: un'offesa tagliente che non vuole tagliare.
Un'offesa buona. Come tutte le offese dei fiorentini.


Simile al cugino grullo, ma decisamente più serio, bischero è più forte di scemo, più incisivo di poco vispo. Il bischero è un ingenuo, ma di quelli della peggior razza, ovvero quelli che si credono intelligenti. Uno stupido che però si crede furbo. Peggior razza, dicevo, perché, come si dice a Firenze, per il malato c'è la china, ma pe' i' bischero un c'è medicina.
Nel tempo il significato di bischero si è addolcito, arrivando per traslato a intendere anche chi è tanto buono da prenderla sempre in tasca. Non è raro sentir dire infatti: occhio! Perché tre volte buono, vuol dire bischero.
E dalla bontà, a Firenze, si preferisce sempre guardarsi le spalle.


Bischero non è una parola inventata ma ha una storia, un passato e i Toscani lo usano per dire: nella vita essere scaltri è una necessità, è l'unico modo per crescere.
Non vuoi farlo? Benissimo, ma sappi che tutti ti metteranno i piedi in capo. Lo vuoi fare troppo? Occhio, perché le conseguenze della stupidità sono reali e - generalmente - a lungo termine.


Ma veniamo alla storia. Alla fine del 1200 il Comune di Firenze decise di costruire un nuovo Duomo, perché Santa Reparata non bastava più. La prima pietra venne posta l’8 settembre 1296 e per arrivare alla conclusione dei lavori ci vollero circa 170 anni. Lavoro decisamente complesso (tipo la Salerno Reggio Calabria, per intendersi).Santa Maria del Fiore sarebbe stata immensa, e per questo il Comune deliberò di acquistare tutte le case e i terreni che si trovavano nel perimetro del progetto.
Proprietaria degli immobili tra Duomo e via dell’Oriuolo, era la facoltosa famiglia Bischeri (famiglia da cui provenivano 4 gonfalonieri e 15 priori) a cui il Comune propose l’acquisto delle loro proprietà.
Questi, antenati dei furbetti del quartierino, iniziarono un’estenuante trattativa sul prezzo, mostrando pubblicamente di volerne fare una speculazione edilizia con i fiocchi.
E visto che i fiorentini hanno tanti pregi, ma tra questi non c'è di sicuro la pazienza, accadde che una notte un violento e misteriosissimo incendio bruciò tutte le case dei Bischeri, i quali si ritrovarono con qualche tonnellata di cenere e la beffa di dover cedere i loro terreni a un prezzo ridicolo (mentre i Medici, al Governo, se la ridevano alla stragrande). Altre fonti dicono che il Comune, senza traccheggiare, espropriò direttamente le loro case, ma poco importa. Il succo si capisce.
I fiorentini sono molto sensibili al tema. Potete dir loro di tutto, offendere mamme e sorelle, e tendenzialmente nessuno se ne prenderà mai a male perché da noi l'offesa è la forma con cui si dimostrare la confidenza.
Ma, datemi retta, sentirsi dare del bischero brucia. E come se brucia.

venerdì 23 dicembre 2011

CDA | 23

RUZZARE


No, non russare. Ruzzare. Doppia z.
E come tutte le parole con la doppia Z (pazzo, puzzo, razzo, mazzo...), ruzzare è una parola netta a cui non piacciono le mezze misure.

Ruzzare, ovvero divertirsi facendo chiasso, mischiando le carte in tavola, giusto per ridere.
Vi fermiamo subito per un'associazione sbagliata: non parliamo di giocare.
Giocare è qualcosa di più serio e impegnativo. Il gioco richiede una certa organizzazione: si deve capire cosa fare, sceglierlo, applicarcisi in qualche modo, portarlo a termine.

Ruzzare no; per ruzzare non serve una pianificazione. Si può usare quello che si trova o semplicemente aggiungere una dose di irrazionalità a un'attività quotidiana. Di colpo, d'improvviso. Il ruzzo non si decide: il ruzzo quando arriva, arriva.
Di un gatto che parte a correre per il corridoio, saltando addosso a chi gli capita davanti, si dice "c'ha i' ruzzo". Lo stesso un cane che si agita e salta addosso a tutti. I bambini che superano il confine e ridono, ridono, ridono, facendo i versi che tanto gli piacciono, altro non fanno che ruzzare.

Il ruzzo è uno scherzo, in maniera scomposta. E sopratutto inaspettata.
Curioso come, generalmente, il ruzzo si applica ad animali e bambini.

E voi: quanto ruzzate?

giovedì 22 dicembre 2011

CDA | 22

TAMBURLANO

Arnese a forma di tamburo cilindrico che alla base aveva uno scaldino o un braciere che dovevano asciugare la biancheria che veniva stesa nella parte alta.
Bene. Detta la definizione, ora dimenticatevela, perché a Firenze il tamburlano è un'altra cosa.

A Firenze il tamburlano è il simbolo principe di un oggetto ingombrante e antiestetico, un bidone insomma, qualcosa che di mette nel mezzo per non lasciare spazio ad altro. Qualcuno che parla, parla, parla e non la finisce più, con molta probabilità ci sta facendo la testa come un tamburlano.
Ma veniamo a un esempio decisamente più concreto.

Molti di voi si ricordano della mia prima macchina. Mentre gli amici sfoderavano Yaris e Polo come piovessero, io vantavo la macchina imparcheggiabile, la mitica Mondeo station wagon. Dovete sapere che la fissazione di far girare noi povere sorelle Masini su catamarani non inferiori ai 5 metri di lunghezza non è nata con me. Io ho solo continuato la tradizione familiare, iniziata quando ero ancora nella mente di Dio. Le mie sorelle non avevano però la mitica Mondeo, ma la mitica Sierra. 

Protagonisti & comparse: mia sorella Chiara, poco più che ventenne, con un gruppo di amiche.
Ambientazione: piazza San Niccolò, dove al tempo si poteva ancora transitare liberamente.
Svolgimento: Chiara guida regolarmente la Sierra - con le amiche dentro - fino a che non si accorge che una pocket macchina le sta venendo addosso. In contromano. Subito Chiara e amiche si attivano per indicare all'ignoto guidatore che in quella strada in due non ci passeranno mai. Non tanto perché è stretta, quanto perché l'ignoto è in contromano.
Ma la pocket macchina guidata dall'ignoto non accenna a fermarsi. Mia sorella inizia a fare cenno di no con le mani e a suonare, freneticamente.

Capendo evidentemente fischi per fiaschi, l'ignoto guidatore esce dalla sua pocket macchina. È una donna. In mezzo a Piazza San Niccolò (dove ormai la gente si godeva lo spettacolo affacciata ai balconi) urla:

- "O icché ttai da sonare te e codesto tamburlano??!".

Per inciso. Mia mamma non ha mai accettato che la Sierra fosse definita antiestetica.

mercoledì 21 dicembre 2011

CDA | 21

DICE

Oh, dice c'è un blog cha fa le buche…
Che fa le buche? Ma dove?
Sì, dai, un blog dove dice c'è un pistacchio e una fragola che fanno i' calendario con le parole toscane…
Dice? Ma chi lo dice?
Boh. Dice.

martedì 20 dicembre 2011

CDA | 20

INGRULLIRE


A Firenze è raro non aver sentito, per strada, in un giardino, davanti a una scuola, in un supermercato, la fatidica frase:
"Ma che ssei 'ngrulllito?"

Si può perdere la testa per tanti motivi, ma ingrullire no. E se il problema fosse solo aver perso la testa non sarebbe il caso di farla tanto lunga. Una cosa che si perde si ritrova. Ma ingrullire no. Ingrullire significa molto di più.

Ingrullire non è solo un ammattire, un diventare scemo, un instupidire.
Ingrullire è entrare in un regno dove niente sembra appartenere alle regole del mondo reale. Una specie di isola che non c'è. Un'isola che non c'è piena di grulli, però.
È entrare in una dimensione di idiozia parallela, una condizione semi perenne, quasi fino a non uscirne più. Almeno fino a che qualcuno non ti chieda:
"Oh, ma che tu ssei 'ngrullito?"

Si può ingrullire da soli (avete presente quanto si può ingrullire a cercare un paio di chiavi?) o ti possono far ingrullire gli altri.
Se è vero che nel primo caso non ci si sente particolarmente intelligenti, nel secondo, almeno, si rimane in buona compagnia.

lunedì 19 dicembre 2011

CDA | 19

USCIO

Chiariamo subito. Anche noi pensiamo che sia "meglio un morto in casa che un pisano all'uscio", così per confermare che siamo campanilisti e provinciali. Figuratevi che già guardiamo con sospetto i pratesi, che distano da noi pochi chilometri. I pisani invece, lontanissimi, no. I pisani li odiamo, odiamo soprattutto la loro Torre Pendente perché non possiamo accettare che un lavoro fatto male possa diventare celebre (ancora più stupefacente come si possa pensare di studiare ingegneria civile a Pisa, visti i precedenti, ma non infieriamo).

Ma cos'è quest'uscio? L'uscio è molto simile alla porta, ma pensata alla nostra maniera.
L'uscio infatti non è la porta vera e propria, il pezzo di legno con la maniglia, quanto piuttosto uno spazio concettuale, che va ben oltre la piccola porzione che la porta occupa. Stare sull'uscio significa rimanere fuori dall'intimità di un luogo, pur essendone prossimi.
L'uscio è tanto più uscio quando indica l'ingresso di casa, quando è spartiacque tra la vita familiare e il resto del mondo, il pianerottolo, i dirimpettai di appartamento che forse non ci salutano nemmeno in ascensore. La differenza tra porta e uscio sta proprio nella differenza tra un oggetto e un concetto, l'astrazione che quell'oggetto per estensione crea.
Un pisano all'uscio è un pisano che incombre per profanare il nostro spazio vitale, quanto abbiamo di più riservato, sospeso nel limbo tra il dentro e il fuori, a un passo dalle cose più care. E questo ci sconvolge.


Ps. come molti di voi già sanno, riferisco mio malgrado che i pisani, tra i quali annoveriamo anche degli amici (horribile dictu), rispondono candidamente alla nostra affermazione "che Dio t'accontenti".

domenica 18 dicembre 2011

CDA | 18

LA PASSATA

"Oicchettai tra i capelli?"
"Come icché c'ho?! Mi so' messa la passata!"

Lo sappiamo cosa dirà la maggior parte di voi. La passata? In testa?! Ma la passata si mangia!
Zucca, patate, porri, carote... la passata per voi è quella.

Per noi invece la passata, se detta da sola, è quella cosa che tira indietro i capelli.
Un gesto che parla da solo: che scopre il viso, che fa passare tutto dietro. Un gesto evocativo, come se tirare indietro i capelli volesse dire buttarsi alle spalle tante altre cose. Brutte? Belle? Beh, sicuramente passate.

Voi la passata la chiamate cerchietto.
Una volta detto non c'è più nulla da immaginare. Cerchietto: una funzione, una descrizione, una definizione. Il cerchietto ha uno spazio, un ruolo preciso e, bada bene, che non si muova da lì.

Noi no. Perché ci piace pensare che anche solo a mettersi una passata, uno si possa sentire più leggero.

sabato 17 dicembre 2011

CDA | 17

PISSERO

Siamo quasi a Natale e non ci potrebbe essere periodo migliore per chiarire, una volta per tutte, il significato della parola pissero.

Avete presente quei poveri bambini costretti da genitori incuranti della loro dignità sociale (sì, cari genitori, hanno una dignità sociale anche i vostri figli) a indossare collettoni di trina ricamati da una qualche trisavola? Tutine rosa, con scarpe rosa, sciarpa rosa, maglietta della salute rosa, mutande rosa, pannolone rosa?
Avete presente quelle candele centro tavola orribili (in verità sono sempre le solite 5 che la gente continua a reciclarsi) composte da pigne, rami di abete (che tagliano sempre la mano), ghiande, campanelli e un Babbo Natale che fa sempre tanta simpatia? Quei deliziosi alberelli di ceramica che dovrebbero illuminare le tavole con le candeline da posizionare dentro che poi, matematicamente, fanno scattare gli allarmi anti incendio di 1 condominio su 3?
Avete presente il mitico maglione di lana con i disegni del fiocco di neve sopra, che, chi vi vuole bene, definisce "anni '80" perché non sa la sente di offendervi?

Tutto questo è il pissero, il troppo, lo stucchevole, il lezioso.

Io capii cosa fosse il pissero in un momento preciso della mia vita. È un momento imprecisato nel tempo. Imprecisato ma nitidissimo nella memoria. Avevo più o meno 5 anni e, accompagnando madre e sorelle a far compere, mi imbattei nel primo grande amore della mia vita, che mia madre definì, senza colpo ferire, "decisamente troppo pissero". Fu un colpo. Quasi mortale. Ma non mollai. Combattei fino a che non diventò mio.

Era un pellicciotto di pelo molto folto e molto finto. Rosso. Lucido. Molto lucido.

Pissero. What else?



Per amor di completezza riportiamo comunque la definizione originale:
«Dicesi pissera con valutazione negativa, la donna mediocre di ogni età, sposata o nubile, di solito non molto dotata fisicamente, la quale, aspirando ad essere considerata brava, s’impone comportamenti, modi, abbigliamento, scelte particolari, e si presenta come modello di virtù femminili, che possiede però solo in parte limitata. Allo stesso modo si conferma ai difetti apprezzati dalla società, della quale assume i gusti, esaltandoli nella mediocrità e combinandoli sapientemente».

venerdì 16 dicembre 2011

CDA | 16

PAREA PINCO

"Pinco? Forse volevi dire Pinko! Certo, certo! Hai visto che belle le maglie di questa collezione autunno inverno?!"

A Milano, a dire "parea pinco", potrei incappare in un dialogo del genere.
Peccato che io dica Pinco, senza k. Con la c.

Passa uno con la macchinona, diciamo un SUV bianco opaco, tutto fiero come se suo figlio avesse appena preso il nobel per la pace? Una ragazza ritorna trionfante da una giornata di shopping intenso, piena di buste, su dei trampoli di 34 cm, felice come se avesse scalato l'Annapurna? Un uomo cammina per il centro tutto borioso, portando in giro, come un bassotto a pelo ruvido, la sua nuova fidanzata bellissima?

A Firenze si dice: "Uhh! Parea Pinco!"
Un sottile modo di sfottere difronte a una felicità che affonda la sua radice (perché credo sia opportuno non usare nemmeno il plurale) sull'apparire, sulla facciata.
C'è chi li invidia. Può darsi. A noi però piace girarci, sfotterli e dirgli: Madonna, pareva chissacchì!

Madonna! Parea pinco!

giovedì 15 dicembre 2011

CDA | 15

CIACCIARE

Dicendo ciacciare, non vi immaginate subito delle mani che si muovono veloci veloci veloci, occhi concentratissimi, alla ricerca di qualcosa dentro una borsa enorme, o dentro un cassetto, un baule dimenticato, una cesta piena di giochi, una scatola di latta piena di lettere antiche?

Ciacciare è questo. Aggiunge curiosità al rovistare e simpatia al frugare.
È più metodico e attento del curiosare, più intimo dell'esplorare, più personale dell'ispezionare, meno freddo del perlustrare.

Ciacciare non sempre si potrebbe, ma è un impulso irrefrenabile. Si fa in buona fede. È più forte di noi.

mercoledì 14 dicembre 2011

CDA | 14

TRACCOLAIO

Vi confido che non conoscevo la parola "traccolaio" finché non l'ho sentita personalmente nominare dal fattore della casa di campagna, il fidato Nello.
Era una vendemmia di qualche anno fa. Per una volta, il raccolto era stato superiore alle aspettative. Grappoli come piovesse.

Quasi all'ultimo, ci siamo accorti che i tini non riuscivano a contenere tutto. Panico, sguardi smarriti.
Nell'incertezza generale, spunta l'idea di recuperare un capiente contenitore di vetroresina dismesso da tempo, per raccogliere il mosto in eccesso. Complicazioni: il tino improvvisato non può essere appoggiato direttamente al suolo, pena l'impossibilità di effettuare le lavorazioni di cantina. Recuperiamo dei pancali e dei mattoni, costruiamo una struttura improbabile che ricorda tanto le impalcature di bambù dei cantieri di lavoro nepalesi.

Nello squadra poco convinto quanto abbiamo faticosamente prodotto:
"Mmm. Secondo me vien giù tutto, questo l'è un traccolaio!".

Credo di non aver mai riso tanto. Fu un momento memorabile. La scoperta di una parola nuova, autoesplicativa, evidentemente toscanissima, nel contesto più verace che si possa immaginare.

Se scriviamo "traccolaio" su google non viene fuori niente. Il nuovo vangelo, quella della Rete, la nuova verità che si manifesta come l'hit parade delle occorrenze, di click, di riferimenti, cancellerà probabilmente un'espressione come questa.
La Rete, anche se è grande, non lo è abbastanza per lasciare spazio a tutti.
La Rete è relativista. La Rete dice che è vero ciò che è più comune, come se la verità fosse una questione di democrazia, di alzata di mano.
La Rete non considera che dentro la nostra storia, tra di noi, c'è qualche parola che ci portiamo dietro da secoli, che viene tramandata di bocca in bocca, che è stata sussurrata in una cucina di campagna una sera d'inverno, che è stata gridata in qualche campo durante il raccolto, che è stata citata davanti a una specie di enorme bidone di vetroresina, per tanto dimenticato ai margini del bosco.
Non sono i numeri, non è la moda che fa la cultura di un popolo. Non si sostituisce una storia con una ricerca su internet. La Rete perde le sfumature e massifica la conoscenza, speriamo di rendercene conto presto.

martedì 13 dicembre 2011

CDA | 13

TROMBAIO

Ti si è rotta la cannella dell'acquaio? Lo sciacquone perde? Ti si sta allagando la casa e non sai neanche perché?
Bene! Allora devi chiamare il trombaio.

Chi?!
Il trombaio, ovvero l'idraulico, quello che ripara tutto ciò che ha a che fare con acqua e casa.

Qualche esempio? Super Mario, l'eroe dei videogiochi per eccellenza, è un trombaio. L'amata principessa Daisy non avrebbe potuto scegliere di meglio. Secondo me, s'era innamorata già dal nome.

Difficile parlare di etimologia, senza che si sprechino sorrisi malcelati e si incrocino sguardi furbetti. Eh... che farà il trombaio? Sappiamo già che vi state tirando le gomitate, ridacchiando (e maledicendo il giorno in cui avete scelto di studiare economia).
E invece, no, maliziosi che non siete altro. Qui non si parla di professionisti che consolano mogli lasciate sole dal marito. La tromba è la pompa dell'acqua. Da qui, per estensione, il "trombaio" è chi ci lavora sopra.
Almeno così piace pensare a noi inguaribili ottimisti.
Ops, scusate. Da noi che il bicchiere lo vediamo sempre mezzo pieno. Trombaio o no.

lunedì 12 dicembre 2011

CDA | 12

A REGOLA / ARREGOLA

A regola, o nella versione più forte, arregola questo post avrei dovuto scriverlo stamatina presto e non ora all'ultimo momento, lottanto contro i secondi prima che arrivi la mezzanotte, come una Cenerentola grafomane invece della fashion victim che conosciamo.
Arregola avrei dovuto pensare alla parola con calma, cercare l'etimologia, il senso, la storia, magari anche un pizzico di tradizione.
Arregola ci avrei dovuto ponderare tutte le possibilità, e poi sceglierne una.
Tutto vero, arregola.

Arregola, cioè come le cose dovrebbero essere. Come sarebbe evidente. Come il mondo dovrebbe girare.
Arregola, con la pretesa di aver sempre la situazione sotto controllo. Come bravi toscani testoni.

Ma benché noi si raddoppi anche la R (sentite come "arregola" tuoni molti di più che "a regola"), la vita ci ricorda di essere molto più interessante di una regola (anche se detta in toscano), prende il sopravvento e ci porta dove non avremmo mai pensato.
Meno male.

Molti rimangono indietro

Partiamo da Milano nel tardo pomeriggio. Pioviggina. La macchina corre veloce verso le montagne.
Tante telefonate per trovare un alloggio libero. Un sito internet imbarazzante e un bed&breaskfast la cui costruzione ha richiesto l'abbattimento di una foresta.
Una cena fissata alla cieca. Un viottolo che si inerpica sulle montagne, dove la pioggia diventa neve, neve fitta. E attacca.
Ci si chiede se sia più pericolosa la strada o la polenta concia.
Uno stereo che suona rivisitazioni andine di brani celebri.
Leggere sul suo display che non tutto il mondo corre sempre più veloce, non tutti hanno l'ipod, non tutti quando hanno bisogno di una canzone la scaricano da internet e l'ascoltano con itunes.

domenica 11 dicembre 2011

CDA | 11

BADA

Molto più di un avvertimento, molto più anche di un consiglio, il bada è come un tuono*: ti avverte che sta per arrivare un temporale. E quindi, come dire, si salvi chi può.
Il bada è la mamma minacciosa che brandisce un mestolo, difendendo la crema pasticciera appena fatta. Il bada è lo sguardo di un babbo che fulmina il bambino che sta passando il limite. Il bada è un amico che spera di fermarti prima che tu faccia l'irreparabile. La sorpresa di vedere una persona che non ti saresti mai aspettato.

Bada. Due sillabe che racchiudono molto ti più di uno "stai attento". Nel bada c'è un po' del "guarda che potresti farti male", "io ti sto avvertendo", "mi sto per arrabbiare parecchio", "non so quanto tollererò questa situazione", "fermati prima che si troppo tardi".

Il bada lo avrebbe potuto dire San Giovanni (sì, sempre lui, ma d'altronde spopola nel tempo di Avvento):
"Badate ragazzi, qui è ora di convertissi, di credere in qualcosina di diverso dai babbi Natali che vedete a giro, siano vestiti di rosso o tutti leopardati".

Merce rara oggi.


* Anzi, per rimanere in tema, come un tono, come Tonino che ruzzola le botti - detto tipico quando sta per piovere e tuona forte, come se in cielo ci fosse un Tonino che, spostando botti, fa un rumore pazzesco, simile, per l'appunto, a un tuono.

sabato 10 dicembre 2011

CDA | 10

GRANATA

Grande confusione, sporcizia ovunque.
Occorre rimettere un po' a posto, rassettare e, ovviamente pulire.
Da ultimo, spazzare il pavimento.
E qui il mondo si divide. Ovunque il pavimento si spazza con la scopa, mentre in Toscana, no, in Toscana -buffo- si spazza con la granata.
Differenze sostanziali? Nessuna. Dire "granata" è un vezzo. Non volendo rinunciare a nulla, specialmente al superfluo, ci teniamo stretta questa parola, proviamo piacere a leggere sul volto degli stranieri l'incomprensione del nostro piccolo mondo.
Se parliamo di granata ci riferiamo alle mura domestiche, dove farci vedere a usarla indica una grande confidenza. Mai lo faremmo se non in presenza di amici intimi.
È una parola sentita la prima volta dalla mamma, o dalla nonna, che non abbiamo probabilmente mai vista scritta da nessuna parte. Lessico familiare cristallino. Odore di casa.

venerdì 9 dicembre 2011

CDA | 9

CANNELLA

Oggi nella nostra casella si trova la cannella. Ma non parliamo di dolci o di frutta al forno, di strudel o te aromatizzati a sapori strani.
La cannella, se proprio dobbiamo trovare un'altra parola per descriverla, è il rubinetto.
Perché ci piace più cannella di rubinetto?

Rubinetto è industriale, freddo; il rubinetto è un attrezzo metallico che deve funzionare.
La cannella invece è una compagna di stanza, che vuole compagnia tutto il giorno. La cannella è un po' pettegola, soprattutto quando gocciola. La cannella si vuol far sentire, perché la sua acqua è più buona di quella di rubinetto.
La cannella è una ninna nanna che aiuta ad addormentarsi, scandendo il tempo non come un orologio, con minuti e secondi, ma con i tempi della cucina. Con i tempi della vita.

giovedì 8 dicembre 2011

CDA | 8

TOCCO

Voi a che ora mangiate a pranzo? Credo che la maggior parte di voi mangi alle una. Sarebbe diverso se foste muratori, pensionati in età molto avanzata o degenti in casa di cura. O, in alternativa, fiorentini. E questo non perchè i fiorentini mangino prima delle una, ma perchè mangiano al tocco.
Il tocco a Firenze sono le ore una.

Questa espressione ci piace (e quindi la difendiamo con i denti) perchè ci parla di un mondo in cui il tempo era scandito dagli orologi dei campanili.
Il tocco, un solo rintocco del campanile.

Il tocco ci ricorda quando avevamo ancora il tempo di ascoltare la voce della città, che non avevamo ancora sopraffatto con il rumore dei cellulari, delle televisioni e delle auto. Avremmo potuto ascoltare le voci delle persone e invece abbiamo scelto altro. Forse era inevitabile ed è inutile fare la parte dei ruderi antistorici, ma non credo che ci abbiamo guadagnato. Avrei preferito che avessimo ancora la pazienza di ascoltare il campanile per farci dare quell'informazione che solo lui possedeva. Forse era anche un modo per dire che il tempo non è nostro ma è di Dio e noi non possiamo che aspettare da Lui delle indicazioni, anche se per farlo -e oggi è davvero fuori dalla nostra abitudine- occorre aspettare uno, due, tre, quattro, cinque, magari dieci rintocchi che si succedono piano piano.

mercoledì 7 dicembre 2011

CDA | 7

TONI

A Milano oggi è Festa. S. Ambrogio, quel super vescovo che convertì quella capoccia di S. Agostino, ci regala un super ponte. E quando c'è ponte, quando c'è festa, c'è chi parte e c'è chi resta. Chi resta generalmente, quasi per immergersi più da vicino nel mood del giorno festivo, si mette in toni.

Toni, esatto. Non un giocatore, né il plurale del tono di voce o di colore.

A Firenze la tuta non la chiamiamo tuta. Nome sciatto e troppo casalingo. A Firenze, per l'ora di ginnastica a scuola, per la palestra, per andare a correre o per allenarsi, ci si mette il toni.

Correva l'anno 1944. Firenze era stata liberata. Diciamo che la gente non navigava proprio nell'oro e il concetto di proprietà privata era stato provvisoriamente accantonato, per ritornarvi una volta calmate le acque (e lo stomaco).
Nei pressi di campo di Marte, era caduto da una jeep degli alleati americani un pacco piuttosto grandicello che riportava sopra una scritta: TO NY.
Evidentemente sarebbe dovuto arrivare nella grande mela.
Ma pare che quel pacco la grande mela non l'abbia mai vista.
Superando il timore reverenziale e il rispetto che il liberatore emana, qualcuno aprì il pacco e ci trovò le tute che l'esercito americano usava. Ma mica una. Parecchie, ma parecchie tute.
Partì una voce:
"O figlioli, venite! Qui c'è i TONI!"

Nemmeno una svendita all'Ipercoop di Ponte a Greve avrebbe avuto quel successo. In capo a un'ora i toni erano fisicamente finiti ma rimanevano sulla bocca di tutti.

Sono ancora lì.

martedì 6 dicembre 2011

CDA | 6

LAPIS

Mi passi il lapis, per favore?
Eh?
Il lapis.
Lapis?! La matita, vuoi dire!
No, voglio dire lapis.

Non credo ci siano parti d'Italia che condividano con i toscani questa sfumatura lessicale e spesso mi è capitato di non intendermi lontano da casa.

La penna scrive lasciando un segno indelebile. Il lapis, no, si può cancellare. Ok, è vero, anche la matita si può cancellare.
Tuttavia, il lapis e la matita sono due cose diverse.
La matita è colorata, il lapis no. È grigio e profuma di legno e grafite.
Difficilmente utilizzerete una matita quando avrete più di 13 anni, il lapis lo utilizzerete tutta la vita.
Con una matita si fanno i disegni, con il lapis si possono anche prendere appunti senza sembrare di essere un saccheggiatore di astucci di goldrake.
Matita suona tremendamente italiana e terrena. Lapis sa di latino e trasuda storia e tradizione.

Non usiamo una parola quando possiamo utilizzarne due. I dettagli contano e chi ha un cuore ci tiene, specialmente quando deve scrivere qualcosa di importante.

lunedì 5 dicembre 2011

Best place to work Award 2011 - Christmas Special edition


Dove lavoro io le riunioni sono così interessanti che la gente spesso rimane fuori.

CDA | 5

RIMBUZZARSI

Qui a Milano è un gran freddo. E in motorino, si sa, il grande freddo non perdona. Entra dappertutto, cercando una feritoia da dove possa raffreddarti e farti venire brividini ancora più forti.
Per questo ci si rimbuzza.
Per evitare che lo spiffero malefico giunga alla povera schiena indifesa, al pancino. E allora giù di maglie delle salute, canottiere, camicie rintanate dentro i pantaloni e giacconi rigorosamente lunghi.
Il rimbuzzarsi è la lotta delle mamme con i bambini al parco, che girano completamente sbuzzati anche a - 5; è la lotta del padre con l'adolescente che esce di casa con una sciarpa lunghissima e pesantissima ma col bellico di fuori. È il compito di un amante lasciato, che deve rimbuzzarsi il cuore (o quel che ne resta). È la mia lotta giornaliera contro gli spifferi.

Quindi copritevi bene, che ll'è un bel diaccio, e buona giornata a tutti!

domenica 4 dicembre 2011

CDA | 4

SECCO ALLAMPANATO

O Giovannino, Dio bono, perchè un tummangi? Oioi, ttussei secco allampanato!
Mamma, non mi stressare con questa storia! Devo prendere la mia strada, me ne vo nel deserto.
Ma dove tu vvai nel deserto? Guardati, tu sei tutt'ossa!
Sì: vo nel deserto. A me mi basta qualche locusta.
Le locuste! La mi' cugina mi dice sempre che i' su' figliolo è grande e grosso...e vorrei vedere, a tagliare assi e piallare tutto il giorno! Mica è come te che vuole "prendere la sua strada!" Ma perchè un te ne stai un po' fermino?
Mamma, lascia fare, via... e poi guarda che anche Gesù fra pochino si leva dai tre passi...
Sìe, si leva dai tre passi, ora, t'hai a fare anche i' profeta... ma figurati se il suo babbo lo lascia andare, con tutto quello che c'ha da fare in bottega!

La casella di oggi prende spunto dalla liturgia della seconda domenica di avvento, che ci parla del mitico patrono di Firenze, Giovanni Battista.
In Toscana se tu sei secco parecchio, tu sei secco allampanato. Allampanato perché il lume trasparente faceva vedere da una parte all'altra della lanterna.

sabato 3 dicembre 2011

CDA | 3

MICCINO

C'è una cosa che difficilmente un toscano sopporta di buon grado: chi fa le cose a miccino.
Sì, a miccino.
Si possono dire tante cose dei toscani, che sicuramente sono polemici, superbi e critici, ma quando si tratta di offrire agli altri, non ne vedrete mai uno tirarsi indietro a dare con generosità, specialmente a tavola.

A miccino. Insomma, con il braccino corto. Odioso vedere i crostini con uno strato infinitesimale di impasto sopra, la pasta con un'ombra sbiadita di rosso che ricorda del sugo. La besciamella: deve essere tanta e strabordare da tutte le parti, incontrollabile. Se a cena gli ospiti finiscono tutto, è lecito interrogarsi se, oltre ad aver sicuramente preparato un pasto clamorosamente buono, - più probabilmente - abbiamo fatto le cose a miccino.
Parlare poco, promettere meno, ma mai fare le cose a miccino. Ecco il segreto per sorprendere le persone.

Mantenere qualcosa di più di quanto ci si aspetti è il modo che noi toscani ci siamo inventati per rendere più felici i nostri amici.
Senza farglielo sapere.

venerdì 2 dicembre 2011

CDA | 2

PUNTO

Non c'è posto?! Ma stai scherzando, vero?
Eh, non c'è...
Ma punto?
Punto.
Punto, punto, punto?
Punto, Maria, un c'è nulla. Niente di niente. Ho provato anche all'Easy Hotel, quello di una stanza in 8 mq, ma sono pieni anche loro.
Ma come si fa? Un posto bisogna trovarlo, mica si può...
Maria, non ti preoccupare, fidati di me. Un posto si trova. A costo di andare sotto un ponte.
Ma qui in zona di ponti un ce n'è punti.
Maria, Madonna, ora non ti fissare. Ti ho detto che un posto si trova e un posto si trova. Mica si finirà in una stalla.


S.

giovedì 1 dicembre 2011

CDA | 1

BACO GIGI

Apriamo la prima casella... Il Baco Gigi. Eccoci!
Come aprire la prima ciliegia, una mela o, per restare in stagione, una castagna e trovarci, beffardo, l'odioso inquilino.
Ma con le cose fastidiose bisogna imparare a convivere e in Toscana, per sopportarle meglio, abbiamo un metodo infallibile. Gli diamo un nome. Come se abituarsi a chiamare una seccatura con il diminuitivo, diminuisse un po' anche la seccatura stessa. Provate. Funziona.

E il baco, anzi, il baho, il verme della frutta, in particolare delle ciliegie, da noi si chiama Gigi, diminutivo di Giovanni, in quanto dopo S. Giovanni (il 24 di giugno) è facilissimo trovare i vermi nelle ciliegie.
Famoso il modo di dire con doppio senso: I'ba'o Gigi gli sta meglio tra le mele 'he a Parigi.

Dategli torto.

S.