sabato 24 settembre 2011

Dio 3.0

Volevamo condividere con voi un'affermazione che ci sembra assolutamente innovativa. Geniale.

Dio c'è e ha la banda larga.

Salbe

giovedì 22 settembre 2011

Un massacro

Mercoledì sera. Cinema, cinema, cinema, soprattutto dopo aver scoperto (dopo 2 anni) che con la 3 posso vedere un film gratis alla settimana. Vabbè, meglio tardi che mai.
Con due amici andiamo a vedere Carnage. Sull'onda dell'esaltazione (e convinti che potrebbe scalare la top ten, dopo aver sentito la battuta "ieri ho visto in TV Jane Fonda, dopo di che volevo comprare un poster del Ku-Klux-Klan”) puntiamo subito la libreria per comprarci, come tre bravi scolaretti, "Il Dio del massacro", da cui è tratto il film. Opera teatrale, nemmeno 100 pagine.
Ci salutiamo e ognuno torna alla sua vita o alle sue battaglie, che dir si voglia. Infatti so che a casa c'è un mostro che mi attende, sul divano, da più di 4 giorni.

Driiiiiiiiinn. Maledetta sveglia. Stamattina non sopravviveremo entrambe. O tu, o io.
Messaggio di Tommaso. Io ho finito il Dio del massacro. E tu?

Io ho finito la roba da stirare. Circa alle 2 di notte.

Non so se sia stato un Dio, ma sicuramente è stato un massacro.

S.

mercoledì 21 settembre 2011

Vittime eccellenti / 1


Ferrando - Cariola Erbaluce di Caluso DOC 2008

Pietro a cena. Mai pesante, poco alcol e la bella glicerina dovuta alla leggera sovramaturazione lo fanno scorrere in bocca con grande facilità.
Il tempo vola, si parla di cinema e di libri, di estate e di vecchi amici che non si vedono quasi più. Serata intensa, lunga, che lascia in bocca un vivace ricordo sapido, di quelli che sfumano con difficoltà. E così stamattina, quando andavo a lavoro, ancora lo sentivo.
84 punti.

Vittime eccellenti / 0

In T5 abbiamo una cantina invidiabile. Tante bottiglie conservate gelosamente, in attesa di ospiti con i quali stapparle. Che la gente ci creda o meno, infatti, io e Saschia non beviamo mai quando siamo soli.
La mattina successiva alla degustazione (a casa non si beve ma si degusta), quando scendo a prendere il motorino, lascio il vuoto nei contenitori del vetro in cortile.
Per bere non spendiamo mai grandi cifre, ma di sicuro si tratta di qualcosa quasi introvabile fuori dalla zona di produzione. Così mi capita sempre di provare una fitta al cuore quando lascio nel bidone le ricercate etichette in compagnia dei morettoni, delle nastro azzurro e dei bottiglioni San Severo rosso 2 litri provenienti dai condomini quadrumani e dai trucidi locali sotto casa.
I grandi personaggi non si seppelliscono nelle fosse comuni ma nei mausolei. Nelle prossime puntate proverò a dare degna sepoltura ai nostri eroi.

mercoledì 14 settembre 2011

La bellezza della verità


La verità ha i capelli spettinati e il segno degli occhiali sul viso. Troppo sole e troppo forte per poterne fare a meno. La verità non si inchina ma procede, testarda. La verità non fa collezione di premi, ma li restituisce, pensando che forse sarebbero buoni solo a impolverarsi. E, si sa, alla verità spolverare piace poco.

Mentre l'articolo più cliccato di oggi (perché oggi effettivamente le cose si cliccano, non si leggono) sul corriere è "il regalo di Pato alla prima di Barbara" (e il dramma è che tutti hanno già capito di chi stiamo parlando, quando invece l'unica domanda plausibile a questa affermazione dovrebbe essere: Barbara chi?), c'è una notizia che passa inosservata, come passa inosservata la verità decine, centinaia di volte al giorno.
È morto Walter Bonatti, una leggenda dell'alpinismo italiano. Un uomo per cui l'onore e la lealtà hanno significato qualcosa di concreto, nella vita. Qualcosa di tangibile, che non ha voluto rinchiudere in una riconoscenza.
Le targhe tenetele voi, avrà pensato, per salire sul tetto del mondo mi impicciano e basta.
"La montagna mi ha insegnato a non barare, ad essere onesto con me stesso e con quello che facevo".
Un uomo che non si è venduto: questo non è come scalare una montagna. È possibile.

S.

lunedì 12 settembre 2011

122 pagine

Devo dire che fa un certo effetto, dopo mesi di lavoro a testa china, uscire un attimo dalla bolla di attivismo dove ci si era accomodati e guardarci dentro.
Fa un certo effetto scoprire che abbiamo costruito una storia. La prima storia. Magari imperfetta, con tanti difetti, ma vera, dove i personaggi non sono più le ombre di una fantasia, ma figure che girano per casa, chiedendo un caffè o rubando sigarette.
Fa un certo effetto pensare che potrebbe non funzionare, che sarà tutto così difficile, che in pochi ce la fanno e, diciamocelo, perché tra questi ci dovremmo essere proprio noi?
Fa un certo effetto realizzare, di punto in bianco, che hai lasciato la via vecchia per la nuova.

Grandissima scommessa. Avventata forse?
Forse. Ma ho appena scoperto che io ci credo e che ci ho puntato sopra. Questo fa davvero effetto.

S.

mercoledì 7 settembre 2011

Fidarsi è bene, non fidarsi...

Ebbene sì, eccoci di ritorno a Milano. Cioè, eccomi. Cammino per la strada e mi pregusto la tranquillità della mia casina, T5. Piccola ma accogliente.
Entro, pronta a distendermi sul divano, segno ancestrale della presa di possesso di un luogo, quando qualcosa mi blocca. Qualcosa... altro che qualcosa. Un puzzo come nessun altro puzzo. Un odore insopportabile.
Che sarà, mi domando? Sarà mica - avendo preventivato di stare via da casa 5 giorni che poi sono diventati un mese - qualcosa andato a male nel frigo? Lo apro e benché non ci fosse proprio odore di gelsomino, il puzzo non proveniva da lì. Dopo aver buttato via, con il cuore in mano, tre porri, continuo la mia ricerca.
Apro con nonchalance uno scaffale per prendere il rotolone e rimango tramortita. Le patate.
Le patate, ovvero l'alimento che dovrebbe vincere qualsiasi condizione temporale, qualsiasi evento esterno, caduta di governo, temperatura, il cibo dei poveri, delle carestie. Il tubero più adattabile, quello che ti fa sempre andare sul sicuro, di cui ti fidi ciecamente.
Colpita alle spalle, altro che idi di marzo. Le patate mi hanno fregato, contribuendo a popolare T5 di graziosi bachetti e farfalline.
"Ma le patate non vanno mai a male" mi dice giustamente un'amica. Anche io lo pensavo. Infide patate.

Ragazze, il porro lo capisco, ma da voi proprio non me l'aspettavo.

S.

PS: Ho un'altra domanda per voi. È normale che un uomo (che è anche degustatore ufficiale e quindi si tende a pensare che con il naso qualcosina ci sappia fare) sia in grado di non riconoscere un retrogusto cadavere-in-decomposizione-in-cucina?

domenica 4 settembre 2011

Il regalo di anniversario

Cos'è mai questa mania di fare regali per gli anniversari?! Vecchi dentro, gerontici, quasi al confine con il preistorico. La vera svolta, fatevelo dire da chi se ne intende, è farli i regali, invece che riceverli. Aprire il cuore, le borse e i portafogli.
Così, per festeggiare in modo degno l'anniversario di matrimonio, ho scelto questa strada, in un percorso a difficoltà progressive.

La prima: via il marito.
Giusto, perché festeggiare in due quando si può benissimo pensarci da soli? È il principio base dell'operatività: chi fa da sé fa per tre. O non ci vorremo mica ridurre come gli nepalesi, che stanno in 5 a fare quello che sarebbe ridicolo anche per un bambino?

La seconda: via il cellulare.
Massì, abbandoniamo il simbolo dell'era contemporanea, della comunicazione liquida, del flusso di parole. Tanto, direte voi, non rispondevi mai!
Massì! E se poi l'obiettivo è darlo a due zingari che, poverini, chissà da quanto non facevano una telefonata a casa loro... beh, come non sentirsi subito persone migliori? Vi confesso, ci sono rimasta un pò male perché non mi hanno rubato anche la borsa.

In questo modo, se avevo una chance di sentire qualche voce amica che mi chiamasse per ricordare insieme il 4 di settembre di un anno fa (visto che, ripeto, non ho il marito), l'ho definitivamente persa.
Ma io sono una persona positiva e quindi prendo il buono delle cose. E il buono è: furto = denuncia ai Carabinieri di prima mattina. Qualche perla deve venire fuori di sicuro. E infatti. I Carabinieri sono una sicurezza. Non ti deludono mai.
Caserma, ore 10,45. Solite domande, solite risposte. Gongolando già perché avevo fatto il mio dovere di bambina ordinata conservando la scatola del cellulare, mi viene consegnata la denuncia, che riporta:

"Con la presente denuncio il furto del mio telefono cellulare marca blablabla. Lo stesso veniva asportato da un tavolino presso il locale "La loggia del pesce", sito in zona S. Ambrogio, mentre mi trovavo intenta a conversare con la mia amica."

I fiorentini sanno bene che La Loggia del Pesce non è un locale.
"Ma coss'è? 'na pizzeria?"
No, è una loggia.
"Un ristorante di pesce?"
No, è una loggia e sotto ci sono dei tavolini.
"Vabbuò."

Secondo voi, tralasciando il fatto che leggendo ci faccio la figura della cerebrolesa che pensava solo a chiacchierare con la sua amica, la denuncia di furto in un posto che non esiste è valida comunque?

S.

PS: A tutti coloro che leggono questo post chiederei gentilmente di mandarmi una mail con il loro numero di cellulare e magari anche con quello di chi pensate mi potrebbe servire! Passateparola!

A contare si inizia da uno



Cliccare due volte l'immagine per ingrandire e leggere bene.

giovedì 1 settembre 2011

Piuttosto che parlare banalmente come voi mi taglio la lingua / 2

"Piuttosto che".
La prima volta che in mia presenza un amico disinvolto e gaudente usò "piuttosto che" con valenza avversativa, anni fa, rimasi sbigottito, convinto di aver capito male. "Sai, Albert, questo è un modello fantastico. Lo puoi usare da un sacco di parti: in progettazione, piuttosto che in fase di test, piuttosto che in produzione...".
Piuttosto che.
Il bel mondo straripa di piuttosto che, con quel retrogusto snob che sa molto di famiglia facoltosa del nord. Percepisco che l'allure estremo è raggiunto quando la frase si interrompe a metà, con un piuttosto che che lascia presagire le altre numerose possibili alternative, come fosse l'etc. delle conversazioni di alto livello.
Preferisco rimanere a casa piuttosto che andare a lavorare. L'esempio non è edificante ma è chiaro. Semplice. Non o l'una o l'altra, ma, tra le due, una più dell'altra.
Piuttosto che, potius quam.
L'indifferentismo ci ha consegnato una locuzione deforme. Il bianco e il nero delle nostre preferenze si sciolgono in un grigio anonimato.
Accettare il "piuttosto che" avversativo è avvallare che la cacofonia prenda il sopravvento sull'armonia di un semplice "o", diretto come il suo frequente utilizzo richiederebbe.
Accettare il "piuttosto che" avversativo è accettare che il bello non si accompagni più al giusto ma dipenda dalle mutevoli inclinazioni del momento.
Accettare il "piuttosto che" avversativo è condividere un'entropia linguistica che porterà l'universo a una morte per omologazione.
Non sempre assisto silenzioso a questo suicidio. Complice una certa confidenza, famelico, mi avvento sulle mie prede e ci gioco come il gatto fa col topo. Semino il dubbio e la casa costruita sulla sabbia si disfa rovinosamente e ciò che resta è un farfugliato "sì, però si dice...". Non basta. Per i seguaci del piuttosto che sarebbe appropriata la gogna e quattro ore di conversazione coatta con Marco Travaglio. No, forse no, questo sarebbe davvero troppo severo.

A.

ps. a chi volesse redimersi o abbandonare la guerra silenziosa, cominciando ad alzare la voce, chiedo di unirsi a noi qui e qui.

(2 - continua)