domenica 28 ottobre 2012

Pesca & Caramello

NB: pubblichiamo il post con la data della sua effettiva redazione.

Milano, metropoli della quotidianità.
Milano, la città in cui a volte chiudendo gli occhi quasi ti sembra di essere a New York, soprattutto per una provincialotta cresciuta a Bagno a Ripoli (dove le merende si facevano con pane e salame o pane vino e zucchero, mica con cupcake) come me.
Dicevamo, Milano la città delle opportunità. E io, cherry pickers di last minute, la mattina dopo la messa frequento assiduamente tutti i siti di offerte, per potermi permettere quello che a prezzi pieno il mio inconscio si rifiuterebbe persino di sognare.
In una di queste peregrinazioni commerciali incrocio un'offerta di parrucchiere. Taglio piega e uno strano trattamento di cui ancora adesso (adesso che sono sotto il casco del parrucchiere) non ricordo il nome ma che aveva a che fare con gloss.
Ora, a Milano tutto ha nomi inglesi - altrimenti sei un barbone - però va concesso che, pur nel ridicolo, si mantenga una certa coerenza visto che più o meno i nomi rispecchiano quello che ti aspetta.
Cutty ti tagliuzzeranno, shiny qualcosa brillerà più di prima, browny ti toglieranno il bianco e così via.
Un capitolo a parte meriterebbero i nomi esotici: l'ultima volta che ho detto alla mia parrucchiera vera (quella di Bagno a Ripoli) che mi avevano fatto lo shatush, lei mi ha guardato come se le avessi personalmente offeso la mamma (persona deliziosa), ed è tornata al suo lavoro borbottando:
- Sciatù? Oh Robi icchellé lo sciatù? Contente voi con 'sti porcai...

Comunque, sono dentro il parrucchiere di Milano. Matteo mi accoglie, mi prende la giacca, la borsa, guarda schifato il cespuglio che ho in testa, lanciando un amichevole battuta intrisa di tutto il suo disprezzo di parrucchiere: "Tesoro, molto bushy oggi..."
Gli vorrei dire: "Ascolta Matteo, piglia poco pe' i fondelli che ci sarà un tasso di umidità pari a Varanasi, piove e io sono appena arrivata in bicicletta. Poi tu sei pelato, quindi sarebbe meglio ironizzare meno, che dici?"

Sarebbe bellissimo, ma malgrado quello che mio marito pensa, anche io sono una personcina educata. Opto quindi per l'educazione e sorrido composta, arrossendo come ogni buon manuale consiglierebbe.
Matteo sfodera un iPad, mi fa scegliere uno sfondo, mi fa una foto (bruttissima) a tradimento nella quale sembrò l'intersezione esatta tra un hobbit e un troll (un hobbit molto bushy, of course). Mi chiede.
"Un voto ai tuoi capelli?!"
"Ora?" Mi pare palese che in atto ci sia un gioco psicologico dal quale uscirò perdente. Sento già bruciare il lato dell'etichetta ma non mollo, dando i il 7 più immeritato della storia.

A quel punto parte con una serie di proposte di styling, brushing, outfit e looking. Per capirsi, mi fa vedere delle foto di ragazze pettinate in modo assurdo e mi dice di scegliere quello che mi piace.
A me non mi piace nulla ma questo non rappresenta un problema. Infatti il mio parere è assolutamente accessorio e Matteo sceglie autonomamente le foto che preferisce.
A un certo punto ne vedo una carina e lo blocco! Lei! Lei sì che mi piace!
"Ma di looking, brushing o styling?"
Ignorando minimamente significato e soprattutto le differenze mi lancio sullo styling ma appena le mie labbra lo pronunciano so di aver commesso un errore fatale.

Matteo archivia l'iPad e si mette a studiarmi i capelli, così intensamente da farmi seriamente pensare di avere i pidocchi. Finalmente riemerge e mi dice:
"Tesoro, pesca e caramello!"
Temo di non aver capito. Prego?
"Ma un po' più caramello, perché con troppa pesca si aggiungerebbe troppa luce."
A quel punto, dopo esser stata dotata di un kimono, vengo spedita al lavaggio, e alle mie spalle per 7 minuti si consuma una discussione su quanta pesca e quanto caramello siano necessari ai miei capelli e soprattutto in quali percentuali.
Io sono consapevole di perdermi, a volte, in discorsi futili, ma mi tranquillizzo. A questo segno non ci sono mai arrivata.
Realizzo peró che devo prendere in mano la situazione. Devo essere sicura che abbiano capito, altrimenti rischio grosso. Cerco di spiegarmi con parole mie, parole universali. Mi butto sui paragoni: lì impossibile non intendersi.
Dico sicura:
"Cioè per intendersi: non vogliono capelli effetto chiwaua!"

Matteo ammutolisce, si rabbuia - tanto che mi viene quasi da chiedergli se abbia bisogno di un po' di pesca anche lui.

Sento un isterico bau! Bau! Bau!
Un altro. Un altro.
No.
Non puó essere vero.

Appare un chiwaua. Un chiwaua vero.
"Lei è Bella." chiosa Matteo andandosene.
È finita.
Vengo messa nelle mani del nuovo venuto per il taglio e la piega.
E così sia.

Bilancio del deal (come si dice a Milano):
- non volevo assolutamente capelli scalati e in confronto le scale di casa (96) sono nulla
- non volevo i capelli tagliati e ho detto addio minimo a 5 cm
- mi ritrovo una strana massa davanti che qualcuno chiama ciuffo qualcuno frangia - assolutamente impossibile da gestire
- fuori piove a dirotto quindi la piega durerà circa 3 minuti

Tutto questo perché ho offeso il chiwaua di un parrucchiere pelato. E mi fermo qui, ma vi giuro che potrei aggiungere altro nella sua descrizione.

In compenso ho scoperto che i miei capelli mi chiedevano due cose e io non l'avevo mai capito. Pesca e caramello.
Volete mettere?