martedì 8 gennaio 2013

Ha deciso

Da circa un anno sul desktop del computer di lavoro campeggia quasi con continuità assoluta una foto del Cerro Torre.
Vetta mitica dell'alpinismo, una specie di cilindro di granito sulla cui sommità si trova un fungo di ghiaccio alto una settantina di metri. Battuto sempre da fortissimi venti, con una situazione meteorologica che definire instabile sarebbe eufemistico, rappresenta una di quelle sfide che spingono l'uomo a confrontarsi con gli estremi caratteri della natura. Ho letto le storie di coloro che hanno provato a scalarlo, che alternano indescrivibili vittorie (poche) a sacrifici, sofferenze e tragedie (in numero ben maggiore).

Non nascondo che vedere il Cerro Torre fosse forse il principale motivo per venire in Patagonia, per affacciarmi da pigmeo alle pendici di un luogo tanto affascinante, anche solo per farlo un po' più mio.

La strada che porta in qualche ora al campo De Agostini nel Parco de los Glaciares è piuttosto facile, se non fosse per una continua pioggia battente portata dal vento che soffia gelido dalle montagne.
Da lì in qualche minuto si accede alla Laguna Torre, splendido lago di montagna nel quale termina il Glaciar Grande. Il vento si fa impetuoso, a riva vengono sbattuti i piccoli iceberg staccatisi dal ghiacciaio, una pioggia cattiva ci sferza la faccia. Saremo cinque i sei arrivati in quel punto.
In alto, avvolto tra le nubi, sappiamo che sta il Cerro Torre. Vediamo il ghiacciaio, ma di lui non riusciamo a vedere niente. Unici della sparuta compagnia tentiamo l'impresa disperata di proseguire verso il Mirador Maestri, teoricamente punto i avvistamento privilegiato del Torre. Per arrivare dobbiamo procedere su un crinale, in cima all'invaso della laguna, con il vento e la pioggia che ci fanno a malapena camminare. A volte ci fermiamo tanto sono forti le raffiche. Non è un camminamento rischioso, eccetto per il fatto che fa realmente freddo e le giacche a vento hanno superato il punto di tenuta e hanno cominciato a impregnarsi di acqua.
Arriviamo a fatica a pochi metri dal mirador Maestri, al quale decidiamo di non accedere per timore del vento.
Certo, vediamo il ghiacciaio molto da vicino, ma il Cerro Torre decide di non svelarsi.

Inutile dire che ci siamo rimasti davvero male.
Tuttavia, accettiamo il verdetto della montagna. È lei che decide quando farsi vedere e come. Non siamo turisti stile americano che per il fatto di aver pagato pretendono anche che tutto vada come vogliono loro. Accettiamo con ciglio impassibile che una bottiglia, anche importante, sappia di tappo, figuriamoci questo. La natura decide e noi dobbiamo solo assecondarla, ringraziando per questa volta che ci abbia graziato. Abbiamo camminato, ci siamo inzuppati di vento e pioggia ghiacciata, ci siamo spinti molto oltre, in mezzo a queste terre selvagge. Abbiamo fatto tutto quanto potessimo per far girare le cose in maniera diversa. Pensiamo al gruppo dei Ragni di Lecco, che negli anni '70 hanno atteso due mesi in una tenda in una caverna di ghiaccio che il cielo si schiarisse per affrontare la montagna e vincerla. La lezione di umiltà -promettiamo- non verrà dimenticata.
Rimane la speranza, un giorno, di tornare qui e chiedere un verdetto in appello. E in quell'occasione, qualunque sia l'esito, sarà emozionante e grande anche solo pensare che la montagna in quel momento stia per qualche attimo pensando ancora una volta a noi.

domenica 6 gennaio 2013

Where the streets have no name

La cittadina di El Chalten è stata costruita 30 anni fa ed è quindi talmente nuova che alcune strade non hanno neanche un nome. Cercavamo il nostro alloggio, po, persi tra le casine colorate con il tetto di lamiera, abbiamo chiesto a un villico se quella che stavamo percorrendo fosse la nostra strada. La sua risposta, indicando più avanti, è stata: "quella là si chiama Los Chorritos, questa non ha un nome."
La cittadina di El Chalten ha un solo bancomat, che peró ha sempre esauriti i contanti.
La cittadina di El Chalten ha delle strade molto larghe, ma quasi nessuna macchina.
Sulla Lonely Planet viene indicato un locale come la miglior pizzeria della città, curiosamente senza notare al contempo che sia anche l'unica.
La cittadina di El Chalten ha una chiesa (Santa Maria della Patagonia), dove il parroco di El Calafate (200km da qui) arriva ogni due lunedì per celebrare la Messa alle 19. La chiesa ringrazia i signori Pablo ed Eduardo per la cura del giardino.
La cittadina di El Chalten ha le strade piene di cani randagi, che sono però molto affettuosi.
Prima di entrare nella città, tutti sono obbligati a passare dalle guardie del parco de los Glaciares per un rapido briefing. Non si conoscono altri motivi per arrivare qui che non siano la visita del parco.
Nella cittadina di El Chalten la copertura wifi, ancorché ricordi la velocità dei vecchi modem 56k, è pressoché totale. La copertura cellulare è invece assente.
La cittadina di El Chalten accoglie nelle proprie strutture ricettive numerosi stagisti degli istituti alberghieri di Buenos Aires, forse ignari di cosa li aspetti.
Nella cittadina di El Chalten l'agnello è straordinariamente buono, e infatti non sa di agnello (oppure sono i nostri a non sapere di agnello, quello vero, patagonico).

Ci piace stare in questo posto, base per trekking che finiscono nelle nuvole, tra le montagne che hanno fatto la storia dell'alpinismo, tra vincitori e tragedie, tutti parimenti eroi.
Ci piace sapere che esistono posti, nominalmente cattolici, dove accedere ai sacramenti è un evento straordinario, perché ci aiuta a comprendere la nostra cortezza di vedute se giudichiamo una messa difficile da prendere perché è alle 10 di domenica mattina.
Ci piace fare migliaia di chilometri per vedere che esistono ancora delle frontiere, che la natura quando vuole ha il sopravvento sulle vicende umane.
Ci piace vedere che nulla, in realtà, è mai scontato nelle zone più remote di questa terra.

mercoledì 2 gennaio 2013

Cene di pregio

Buenos Aires, ore 20.
Dilemma cena. Siamo d'accordo che non vale molto la pena investire in una cena di alto livello, considerato che la moglie è incapace di sentire i sapori a causa di un invadente raffreddore, mentre il marito è sconvolto dalla gigantesca camminata del pomeriggio ("andiamo alla Plaza de Congreso e torniamo indietro? Sono quattro passi!").
La padrona di casa ci consiglia un ristorante nelle vicinanze. Ci avviciniamo. Forse buono, ma decisamente da polli in batteria: tanti tavoli, molte tovaglie bianche, tanti (troppi) camerieri.

Andiamo oltre. Strade sfasciate, gente che chiacchiera agli angoli.
D'un tratto il locale che ti immagini da posti come questo: sedie tutte diverse, tavolacci sparsi, vecchi ventilatori, foto di famiglia attaccate al muro, un vecchietto a servire.
È lui. Così risolviamo per pochi euri la serata: una reale milanesa portena con papas fritas, empanadas come se non ci fosse un domani e una cervezita (questo avevo chiesto, poi per tutta risposta il vecchio è arrivato con una boccia da un
litro di Quilmes, che ho onorato fino all'ultima goccia).

martedì 1 gennaio 2013

Feliz año nuevo

Atterrati.
Buenos Aires è una città immensa, anche se alla fine noi stranieri vediamo solo i quartieri celebri e ignoriamo l'enorme distesa di case che si stende verso l'interno, protesi nel cuore dell'Argentina.
Il bus che ci porta verso il centro attraversa una gigantesca autostrada che taglia chilometri e chilometri di abitazioni.
È la notte di capodanno. Tutte le luci sono accese. Di molti appartamenti è possibile vedere i salotti illuminati, pieni di chissà quanta gente pronta a festeggiare. Vediamo i palazzoni, le classiche casette quadrate sudamericane con il tetto piatto, perennemente in costruzione. Vediamo strade deserte. Vediamo sotto un ponte l'immagine dolorosa di una distesa di disperati che dormono su materassi di fortuna, a cui sembra importare poco dell'arrivo di un nuovo anno privo di promesse. Entriamo nell'intimità di posti anonimi, che brulicano di vita.
Manca un'ora alla mezzanotte e si sentono i primi botti, che un forte vento dal mare porta via. Buenos Aires ci accoglie con le sue strade larghe, la sua umanità festosa e disordinata e ci sembra di essere stati qua pochi giorni fa.
Comincia il viaggio, o forse è lo stesso viaggio che non è mai finito ma solo ora ce ne accorgiamo.
Tanti auguri.