domenica 19 agosto 2012

Cambio casa

La notizia è pubblica. A breve lasceremo la nostra adorata T5 per LP9.
Un nome molto più esotico ed evocativo per la nostra nuova casa. 
Vi risparmiamo i racconti di case viste, perse e rimpiante, di agenti immobiliari conosciuti e metri quadri esplorati e inesistenti, ma comunque premetto una cosa.
Alberto aveva messo soltanto un veto nella scelta della nuova casa. 
"Saschia, sceglila un po' come ti pare - cosa che farai comunque, quindi almeno salviamo la facciata di marito aperto - ma ti chiedo solo una cosa. L'ascensore. Perché nella vita non si può mai sapere: ti fai male, rimani infermo, ti rompi una gamba. L'ascensore è necessario. Su quello non sono pronto a transigere."

E fu così che la nostra firma (firma di entrambi) è stata posta e scintilla in un contratto che alla seconda riga riporta: quarto e ultimo piano. Senza ascensore.
Pronti, partenza, via.

In barba ai tempi moderni, iniziamo la delicata fase della vita (ancora più delicata se si considera che siamo ad agosto) denominata "stiamo traslocando", quella fase dove la tua casa e un po' iltuo modus vivendi diventa l'esatta via di mezzo tra un magazzino dell'IKEA e un corridoio dell'Esselunga, dove scatoloni di roba da mangiare si mescolano a calze, coperte e libri. Un ipermercato di oggetti, tutti ansiosi di seguirti nella tua - e loro - nuova dimora. Praticamente uno stile di vita, dove nella borsa del lavoro ci ritrovi il rotolone assorbente nuovo chemicavorrailasciareincasavecchia e dove inizi a pensare che vivere senza un metro estendibile da 5 mt sempre in tasca sia praticamente una perdita di tempo.
Uno status dove inizi a misurare tutto, in un raptus che meriterebbe almeno almeno una decina di sedute di psicoterapia. Dove impari che la mano aperta sono circa 20 cm, un passo bello lungo dei miei (e uno piccolino di Albe) un metro e un piede ancora non l'ho capito.
Per lo meno fino a quando ti rendi conto, quando prendi le misure vere, che hai sbagliato tutto e che la cucina che pensavi fosse lunga 4 metri abbondanti in verità non supera i 3. Ma ormai è troppo tardi.

Inizia la cronaca del trasloco. Seguiteci.

giovedì 9 agosto 2012

Proprietà privata (di linguaggio) III


Credo che la battaglia del riconoscimento della proprietà privata sia in parte persa.

Motivo uno. Camomilla riconosce molto chiaramente la sua, ma non quella degli altri.
Niente di strano, visto che con la proprietà privata, da secoli e secoli, il problema è sempre stato quello.
Capita quindi che, mentre sbuccio carote, Camomilla entri serenamente in casa e si butti sul pavimento. Che mentre mi asciugo i capelli, si provi le mie ballerine e mi guardi come dire: "Mie?!"
Ragazza, bene la proprietà privata, ma non facciamo la pipì fuori dal vasino.
Questo si chiama furto, perché quella è roba mia.
Mi rendo conto che la metafora non può avere effetto, visto che il vasino Camomilla non l'ha visto nemmeno in fotografia e non capisce assolutamente di che cosa stia parlando.
Vorrai mica che a 3 anni la bambina contringa la sua natura in un luogo angusto senza finestre e con dei parallelepipedi bianchi e delle regole da seguire, soggiogando la sua libertà a delle stupide convenzioni sociali, che noi per comodità chiamiamo bagno?

Motivo due. Ormai Camomilla staziona più sulla nostra soglia che dentro casa sua. Ogni tentativo di sua madre di toglierla finisce puntualmente in una tragedia. La famiglia, pardon, l'aggregato di persone composto dai suoi genitori e sua nonna probabilmente si sono riuniti per capire il da farsi. Che la bambina pianga è inaccettabile. La Natura non va mai ostacolata.
Se Camomilla sente che deve esprimersi così, allora che lo faccia. Riunione chiusa. Tutti di nuovi si sentono degli ottimi educatori.
Giusto, bando alle convenzioni sociali, che tengono schiava la nostra mente e la nostra immaginazione. Tanto è solo casa nostra! W la Natura.
I bambini devono essere liberi di esprimersi a loro modo. Ovviamente linguaggio compreso. 

Questo però a me genera dei problemi morali, considerando che io a un anno non mi muovevo, vero, ma parlavo che era una meraviglia. L'Ave Maria, il Padre Nostro, la Piccola Fiammiferaia e Pippo ha la verdolite erano i miei cavalli di battaglia. Tutte a memoria.
Capirete voi come per me sia assolutamente inaccettabile che una bambina a quasi 3 anni non dica nulla.
Passi la proprietà privata, ma il linguaggio no. Le parole sono importanti.

Decido di intervenire.
Se tanto deve stare sulla mia soglia, vediamo almeno che impari qualcosa di buono.

Iniziamo con qualcosa di semplice. Mi rifiuto di partire con un lessico da idioti: pappa, cacca, babba, tatta, mimma, bubu, pippi. Queste non sono parole. Sono mostri, obbrobri, generati casuali di lettere. Poi uno si domanda perché la bambina non parli.
Ma perché uno si dovrebbe sbattere per dire bubbu?

Noi partiremo dall'insieme lessicale del bucato e degli indumenti, che possono indubbiamente tornare utili. Ammorbidente. Pigiama. Stendino. Acchiappino. Mutande. Prelavaggio. Anticalcare!
Nulla. Nemmeno mezza parola.
O sono io una pessima insegnante - cosa che tenderei a escludere - o lei non capisce nulla.

Esco a stendere il solito bucato di colorati, momento dove mi regalo pensieri intensi che profumano di ammorbidente.

E lì succede una cosa incredibile.
Camomilla dice la sua prima parola. Parla.
Nessun "ciao ciao!", "no, no!": una parola vera, proprio davanti a me.
Io stendevo. Lei era sul ballatoio. Ci siamo guardate profondamente negli occhi. Mi aspettavo un "calzino" o "verde" o almeno un "asciughino".
Lei invece mi ha sorriso, ha preso tutto il fiato e ha detto, verso di me:
"Zia. Zia Saia..."

Cioè, non so se seguite il moto di rivoluzione, ma la bambina che non parla mi ha appena chiamato zia.
Camomilla continua a dire "zia zia zia".
Mi accorgo che suo padre ha assistito alla scena.
Fumando la sua sigarettina, mi guarda, sorride e mi dice:
"Sì, sì, vai tranquilla. L'altro giorno chiamava "papà" l'imbianchino."


Ma questa è un'altra storia.
Che forse è meglio non raccontare a Camomilla.


sabato 4 agosto 2012

Costruire il nido / 1

Discutere di cucine da Ikea.
Alla fine ci siamo accordati. Ha vinto il cuore.

venerdì 3 agosto 2012

Pastorale

Le lucciole, che appaiono e scompaiono in una notte.
Intermittenze di sogni e di preghiere.
Sigarette nella notte. Chiacchiere che fanno autostop.

Le cicale.
Le stelle, incomprensibili e bellissime. 
Punti da unire.
Ancora. Senza capire il disegno.
L'amore non ha bisogno della conoscenza. 

Il campo bruciato dal sole. Il campo che regala e toglie. 
Il fieno che sa di pelle, di sudore, di cibo, di una passione troppo forte. Una passione che tira sul morso. E galle alle mani. E le redini non bastano.

La lucciola da mettere sotto il bicchiere. Il soldino.
I piedi sotto l'erba. L'erba sui pantaloni. I pantaloni tra i rovi.
Le more. La marmellata. L'odore che gira per casa, si rifugia nei cassetti e si batte con la canfora.
I passi di chi deve andare in bagno durante la notte. Piccoli e grandi. Veloci e lenti.
L'inquilino sotto il letto. Dietro le tende. Dentro gli armadi.
L'ulivo, gli ulivi, i saggi in giardino, torti e antichi.
Il pane con il burro e la marmellata. Dolce e morbido, come i consigli di chi non c'è più.
Le cicale. Sugli alberi, in terra. Nascoste.
L'alba a Baroncelli.

La ninna nanna di cicale. L'ultimo movimento prima del sonno.
Prima di lasciarsi andare.
Ed è notte.
Ed è casa.