giovedì 5 dicembre 2013

Casaperta - Comunicazioni natalizie

In queste serate che precedono il Natale Casaperta vi chiede esplicitamente di NON portare niente come contributo alle serate.

Niente patatine, niente pop corn, niente dolci, niente vino. No, nemmeno pandori o panettoni. Neanche il torrone. Nemmeno un dattero.
Non siamo impazziti e non siamo a dieta, semplicemente vi chiediamo, al posto di investire il vostro denaro per omaggi a questa casa, di investire in asset diversi, che renderanno a lungo termine.

martedì 22 ottobre 2013

Casaperta - le regole del gioco

A Casaperta tutti sono invitati.
La procedura è piuttosto semplice: suonate il campanello e annunciatevi.
(Non risulta che abbiamo mai lasciato fuori nessuno, considerando che gli elettori di Ingroia non si  sono presentati. All'attivo solo qualche disperso al quarto piano VIP, quello con l'ascensore.)

lunedì 21 ottobre 2013

Genesi di un tweet viola

Con l'antipatia per la Juventus ci sono nato. Da quando sono piccino, sono stato circondato da un odio profondo per quella squadra, che troppe angherie e sopraffazioni ha fatto alla Fiorentina (e al mondo intero, ma quello mi ha sempre interessato meno). Ero appena nato e ci rubarono lo scudetto dell'82, avevo l'età della ragione quando fummo spediti a giocare la finale di Coppa Uefa ad Avellino (Avellino! ancora non ci si può credere), senza poi parlare dell'affare Baggio e di tutto il resto.
Immagino, perdonate la leggerezza del confronto, sia come per bambino nato in un campo di rifugiati per ragioni etniche. E' normale non sopportare quelli che perseguitano la tua gente e che alla fine ti hanno costretto a stare là.

giovedì 4 luglio 2013

Casaperta 4 luglio



Luglio, stavolta ti ci voglio 
venire fino a qua ia ia ia ia.
Luglio, ricorda la promessa,
"ti porto tre babà" ia ia ia ia

Anche tu
al quarto piano,
vieni su!
Prosecco alla mano!

Tu ci hai detto “a Luglio
ci vengo di sicuro

il pupo al mar sarà...”

Vieni da noi, al calar del sole
c'è un poco di zanzare
ma ti si dà l'autan!

giovedì 23 maggio 2013

Sogno o son desto?

Roma. Biennale spazio pubblico. Molti interventi, molti contributi. Molte installazione. Luci soffuse, attori che leggono gli abstract. Architetti con occhiali neri, qualcuno azzarda la montatura di legno che va di moda ora. Sciarpina sì, ma di cotone. Scarpe con buco, ma laterale, in modo che non imbarchino acqua.
A Roma fa un caldo pazzesco.

A sorpresa, il primo evento non è dei suddetti architetti, ma di una povera sceneggiatrice che di mestiere inventa storie e di un ingegnere. Pare che i due aprano le porte di casa loro, con cadenza settimanale, ogni giovedì che Dio manda in terra.

Già, già, Casaperta è stato l'intervento di apertura.

Chi si loda s'imbroda, dice il saggio, ma definirlo un successo sarebbe riduttivo. Tutti se ne sono perdutamente innamorati. Non la smettevano di fare domande, volevano leggere tutte le mail che abbiamo mandato fino a ora, sapere di Sky 24, tanto che i responsabili dell'organizzazione hanno dovuto dedicarci altri 15 minuti in coda alla conferenza.

E se vi dicessi che adesso la lista di distribuzione della newsletter conta 287 persone?
Se vi dicessi che qualcuno ci ha chiesto quanti soldi volessimo per esportare il format (al che Albe ha tirato fuori la calcolatrice cercando di capire quale potesse essere una cifra ragionevole) e una giornalista ci ha fissato un appuntamento la prossima settimana per scriverne un articolo?
Se vi dicessi che stiamo prendendo accordi con qualche designer emergenti a Roma, Berlino e Stoccolma per iniziare a fare delle serate gemelle, cross Europe?
Se vi dicessi che un polacco ha chiesto ad Albe un autografo, e a me un cinese due foto, che abbiamo scattato simulando di salire i 96 scalini?
Sì, i cinesi (ce ne erano tre, ma non chiedetemi i nomi perché questo va oltre le mie capacità mnemoniche) hanno trovato esilarante questa cosa di salire quattro piani di scale e pensavano che la facessimo di proposito come divertimento, chiedendo se potessero venire a provare.
No problem, ho detto al cinese, no problem at all. Guarda, in macchina ho ancora la base dell'arco in marmo da 63 kg, ho finito l'acqua e il detersivo per la lavatrice.
Vieni vieni a vedere come ci si diverte.
Se vi dicessi che c'era il responsabile PR dell'Ikea e che ci ha garantito una fornitura di polpette e marmellata svedese fino a chiusura budget?
E se vi dicessi che abbiamo recuperato svariati inviti a cena in terrazze della Capitale che non avevo nemmeno immaginato potessero esistere? E se vi dicessi che in una di queste terrazze, ho incontrato uno che ha insistito perché gli parlassi dei miei progetti e delle mie sceneggiature e si è detto molto interessato a produrle?
Se vi dicessi tutto questo, ci credereste?

Per chi ci ha creduto, ringrazio per la fiducia nelle mie capacità: ve l'ho detto che di mestiere racconto storie.
Per chi non ci ha creduto: siete proprio sicuri che sia tutta un'invenzione?

Per la versione dei fatti ufficiale, vi aspettiamo a casa stasera.

giovedì 11 aprile 2013

Casaperta e i contributi di valore

Non ci possiamo prendere la paternità di quest'opera meravigliosa, alla quale però non potevamo non dare visibilità.

martedì 9 aprile 2013

Casaperta e dintorni


Dedicato a lui, il mobile del nostro salone.
Il mobile che ci piace perché non può lasciare indifferenti.
Tutti hanno un'opinione su di lui. E generalmente l'opinione è: "ragazzi, bella casa, bello tutto, ma questo mobile fa schifo!"

Ebbene sì, il mobile che fa schifo a tutti, a parte a qualche amico intimissimo e a me e ad Alberto che - non a caso - ci siamo sposati.

È stato un colpo di fulmine. Alcune spose raccontano che succeda loro con il vestito.
E mentre a me il vestito diceva solo: "Saschia, sono bianco e su questo non possiamo soprassedere: vediamo di dimagrire?", in compenso mi ha parlato il mobile.
Mi ha parlato alla mostra dell'antiquariato di Sarzana dove mi, ci ha guardato, con le sue vetrine che luccicavano nel sole - o forse era solo il sudore, visto che avevamo appena scalato la Pania della Croce. Ci ha folgorato, tutti e due contemporaneamente, tant'è che ci siamo guardati e sapevamo già cosa stesse pensando l'altro.
Troppo Harmony? 
Riformulo. I suoi tarli, le sue piastrelle portoghesi, il vimini intrecciato, le sue ante che non si chiudono, il legno che ci hanno spacciato come ebano ma sicuramente non lo è, hanno contato fino a tre e hanno urlato, all'unisono: SALBE!
E noi lì, lo abbiamo saputo. Era il mobile del salone.

Perché, vi chiederete? Molto semplice. Perché ha personalità e a noi le cose che hanno qualcosa da dire ci piacciono parecchio. Non è un mobile jolly, che puoi mettere dappertutto. Lui chiede attenzione e spazio e luce e una voce perché vuole parlare. 

E in questa settimana dove a Milano si vedono tante cose strane, ma poche con personalità noi celebriamo ancora di più quelle che prendono davvero una posizione.
Un po' come la lampada kalashnikov. Ma questa è un'altra storia.

Diamo il nostro contributo alla settimana più cul di Milano.
Il nostro evento - lo sapete - è giovedì.

Casaperta 11 aprile


sabato 30 marzo 2013

San Francesco viziava gli uccellini?



I Catelani dal parrucchiere.
Le letture spaziano dal sacro al profano, regalandoci un orizzonte di vedute ampio, a dimostrazione che ci informiamo ci muoviamo con una certa scioltezza tra fonti diverse.
Il tema comunque è quello: come trattare con gli animali?
Capirete anche voi che data la mole di animali domestici che popola la nostra casa, il problema ci riguarda e come..

Ma chi dei due sta leggendo il Foglio e chi Oggi?

Nessuno di voi - a parte i pochissimi, completamente senza peli sulla lingua - avrebbe il coraggio di dire quello che pensa, ovvero che Albe sia quello concentrato sullo spirito francescano e io sui mille modi per non viziare troppo i nostri animali domestici.

Ma non c'è miglior momento delle ore che precedono la Pasqua per ribadire che l'apparenza inganna... 

giovedì 21 marzo 2013

Casaperta 21 marzo


Punti di vista

Giorni complessi, quando scrivere diventa un mestiere e non solo una passione. Quando passi il tempo di fronte alle stesse parole, alla stessa pagina, cambiandola mille volte perché niente ti convince. E mentre questo libro si fa desiderare più del previsto (come le cose più belle), fuori, la vita. Fuori le persone che potrebbero leggerlo, il mio libro, le persone per cui lavoro. Li guardo tutti in faccia come per interrogarli, come per chiedere a loro pareri. A tutti? Solo chi può leggere, ovvio.
A chi potrei essere utile, altrimenti?

Di ritorno dal biciclettaio, che aveva appena dichiarato il decesso della mia bici, dopo averle dato l'ultimo saluto, sento una voce: "mi aiuta Signora ad attraversare la strada?"
Andiamo, penso, nessuno puó chiedere davvero di attraversare la strada. Io l'ho solo visto succedere su Topolino. Mi volto. Vedo un'ombra lunga, fine, che si muove in terra come fosse su una lavagna.
Un bastone. Un cieco.
Lo prendo sottobraccio, viene con me, si fida. Mi riconosce toscana - lo sentirebbe anche un sordo (e detto da un cieco...) - mi chiede se mi piace Renzi, se faccio la sua stessa strada. Non vuole pesare, si sente. Si congeda, ringrazia, si scusa del disturbo.
Disturbo?

C'è una cosa che mi fa sempre impressione della vita, ed è la sua capacità, se ascolti, di rimetterti sempre al tuo posto. Tra l'altro sempre con una certa ironia.

Adesso torno a scrivere.
Buffo, torno a scrivere proprio per un cieco.

giovedì 21 febbraio 2013

Casaperta 21 febbraio


Io voto

Tempo di elezioni, tempo di quaresima. Nessun dubbio che questo sia un periodo impegnativo.
Tempo di speranze e tempo di battaglie. Tempo di esaltazioni e di scoraggiamento.

Poi gli scandali.
Attenzione attenzione. Giannino ha detto Master.
Ma, un momento, controlliamo, cerchiamo, ispezioniamo.
Notizia golosissima: il Master non c'è.
Un momento! Ancora meglio: non ci sono nemmeno le lauree.
Uuuh: ecco quello che si cercava. Ecco un bello scandalo, nuovo di pacca. Uno scandalo chiavi in mano che arriva con un tempismo svizzero. E dire che non c'è stato nemmeno bisogno di chiedergli se pensava che fosse giusto che si pagassero le tasse a Cesare.

Ed ecco la domanda, insidiosa ieri, insidiosa oggi. È lecito guarire uno di sabato? È lecito stare per uno che millanta lauree e master inesistenti?

Il fatto è uno. Uno solo. Giannino si è scusato di fronte a tutti. Si è preso le sue responsabilità, come non abbiamo mai visto fare.

E noi, di fronte a questo atteggiamento che cosa siamo stati, che cosa siamo in grado di fare? Di urlare "Barabba, Barabba", di andare giù, sempre più a fondo, di ravanare ancora più nel torbido. Vuoi vedere che magari non ha nemmeno il diploma, se si cerca bene?
Chissenefrega se ha chiesto scusa. Accecati, vogliamo il pubblico ludibrio, crogiuolarci in dettagli inutili, vogliamo lo scandalo, vogliamo il tumulto, la folla che urla, tutti che si parlano addosso. Chissenefraga di capire: l'importante è che il proprio ego abbia avuto la possibilità di urlare, di urlare la propria verità, il proprio - assoluto, egoistico e stupido - punto di vista.
Questo è lo sfogo, l'istinto, che io capisco. Ma se poi non segue nulla, la situazione è grave.
Il populismo regge i comizi in piazza, ma crolla quando deve dare delle risposte serie. Il populismo ha risposte demagogiche, ma sfugge ai confronti.
Non sopportiamo Berlusconi, ma lo show che va in piazza è sempre lo stesso.

Questa è la stessa Italia che sfotte Corona, ma che in verità lo inCorona ogni giorno, questa è l'Italia dei giornalisti che in verità sono tutti paparazzi, certo, paparazzi di altissimo livello, novelli sacerdoti di un rito a cui non possiamo fare a meno: la gogna pubblica.
Ho letto tutti gli articoli usciti sul tema in questi giorni e mi è fisicamente venuto da vomitare per quanto le parole di una persona (che ho sentito con le mie orecchie dal vivo) siano state rigirate, smontate e rimontate, fino a non avere quasi nulla del discorso, della costruzione di partenza. L'unico quotidiano che le riportava con obiettitivà era l'Unità (per una chiara non sovrapposizione dei possibili elettori).
Allora preferisco le foto di gente in spiaggia con o senza mutande, sicuramente fanno meno danno.

Diciamolo chiaro e tondo. Non vogliamo persone responsabili, ma solo teste da impiccare, come in un gioco sadico, con bambole da mettere ogni volta sotto una ghigliottina.
Alzare e tagliare. Alzare e tagliare.
Vogliamo gente che ci prende in giro, che nega l'evidenza, vogliamo lo scandalo a cui stare attaccati come avvoltoi a una carcassa. Non ne possiamo fare a meno, come una specie di masochismo, di auto flagellazione sterile.

La verità è che non vogliamo la chiarezza, perché quando ci viene data non ci basta. Perché non è pizzicorina, perché altrimenti finisce troppo veloce e noi abbiamo pagato il biglietto per qualcosa di più.
Non è vero che apprezziamo la trasparenza, altrimenti tutti apprezzerebbero Giannino che chiede scusa, che si assume le sue responsabilità, che spiega il perché.
A quel perché noi già avevamo chiuso le orecchie, troppo impegnati a urlargli addosso.
Non vogliamo chi ha le palle di dire di fronte agli occhi di tutti "ho fatto una figura terribile ma guardandovi negli occhi chiedo scusa".

Come un adolescente che decide di essere sincero e dire che ha preso 4 a un compito. Se i genitori gliela meneranno per ore, per giorni, dopo che ha chiesto scusa e promesso di rimediare, se i genitori continueranno a rinfacciare quel 4 come se fosse un marchio a fuoco sulla sua coscienza, credete davvero che al prossimo brutto voto il nostro studente dirà qualcosa?

Ci meritiamo le balle, perché non siamo capaci di apprezzare e di onorare la verità.

È stato dadaista, come dice lui, caleidoscopico, poco chiaro.
Ma, di nuovo, mi viene da vomitare a pensare a tutti i trentenni bighelloni e nullafacenti, laureandi dopo anni di ritardo, che dai loro bar, alla quarta pausa caffè della mattina, si sbrodoleranno a vicenda sullo scandalo di questa situazione. Gesù, non avere una laurea!, sparando sentenze a caso su uno che ha lavorato, che si è fatto il mazzo, che ha raggiunto il suo posto senza rubare nulla a nessuno.

E allora invece che confrontarci sui programmi, invece che provare a capirli, di leggerli, di studiarli, invece che fare domande e parlare di cose serie, scanniamoci pure su delle inutili lauree, su un inutile master. Mettiamo alla gogna uno che ha chiesto scusa.
Che bella soddisfazione. Che bella Italia.

Se davvero siamo così, allora ci meritiamo gli scandali, i politici che rubano e - peggio del peggio - le anime belle, pure, incontaminate, che stanno sui loro scranni asettici, disinfettati, a giudicare, a caricare gli altri di pesi che loro si rifiutano di portare anche solo con un dito, a dire: grazie Dio che non siamo come gli altri uomini, ladri ingiusti, adulteri, maiali, che dicono di aver fatto il master e non sono nemmeno laureati.

Speriamo poi di non renderci conto troppo tardi che il pubblicano davanti a noi tornerà a casa giustificato e noi, invece, con una pietra appena al collo.

Comunque. La Resurrezione alla fine vince la quaresima. E come il Signore, tutte le volte, con le sue risposte ai farisei gli andava tecnicamente in tasca, speriamo di riuscire a farlo anche noi.
Forza Oscar, io sono con te.
E la bandiera di Fare vado ad appenderla al balcone.
E poi torno a lavorare. A scrivere.
Per provare a fermare il declino.

martedì 8 gennaio 2013

Ha deciso

Da circa un anno sul desktop del computer di lavoro campeggia quasi con continuità assoluta una foto del Cerro Torre.
Vetta mitica dell'alpinismo, una specie di cilindro di granito sulla cui sommità si trova un fungo di ghiaccio alto una settantina di metri. Battuto sempre da fortissimi venti, con una situazione meteorologica che definire instabile sarebbe eufemistico, rappresenta una di quelle sfide che spingono l'uomo a confrontarsi con gli estremi caratteri della natura. Ho letto le storie di coloro che hanno provato a scalarlo, che alternano indescrivibili vittorie (poche) a sacrifici, sofferenze e tragedie (in numero ben maggiore).

Non nascondo che vedere il Cerro Torre fosse forse il principale motivo per venire in Patagonia, per affacciarmi da pigmeo alle pendici di un luogo tanto affascinante, anche solo per farlo un po' più mio.

La strada che porta in qualche ora al campo De Agostini nel Parco de los Glaciares è piuttosto facile, se non fosse per una continua pioggia battente portata dal vento che soffia gelido dalle montagne.
Da lì in qualche minuto si accede alla Laguna Torre, splendido lago di montagna nel quale termina il Glaciar Grande. Il vento si fa impetuoso, a riva vengono sbattuti i piccoli iceberg staccatisi dal ghiacciaio, una pioggia cattiva ci sferza la faccia. Saremo cinque i sei arrivati in quel punto.
In alto, avvolto tra le nubi, sappiamo che sta il Cerro Torre. Vediamo il ghiacciaio, ma di lui non riusciamo a vedere niente. Unici della sparuta compagnia tentiamo l'impresa disperata di proseguire verso il Mirador Maestri, teoricamente punto i avvistamento privilegiato del Torre. Per arrivare dobbiamo procedere su un crinale, in cima all'invaso della laguna, con il vento e la pioggia che ci fanno a malapena camminare. A volte ci fermiamo tanto sono forti le raffiche. Non è un camminamento rischioso, eccetto per il fatto che fa realmente freddo e le giacche a vento hanno superato il punto di tenuta e hanno cominciato a impregnarsi di acqua.
Arriviamo a fatica a pochi metri dal mirador Maestri, al quale decidiamo di non accedere per timore del vento.
Certo, vediamo il ghiacciaio molto da vicino, ma il Cerro Torre decide di non svelarsi.

Inutile dire che ci siamo rimasti davvero male.
Tuttavia, accettiamo il verdetto della montagna. È lei che decide quando farsi vedere e come. Non siamo turisti stile americano che per il fatto di aver pagato pretendono anche che tutto vada come vogliono loro. Accettiamo con ciglio impassibile che una bottiglia, anche importante, sappia di tappo, figuriamoci questo. La natura decide e noi dobbiamo solo assecondarla, ringraziando per questa volta che ci abbia graziato. Abbiamo camminato, ci siamo inzuppati di vento e pioggia ghiacciata, ci siamo spinti molto oltre, in mezzo a queste terre selvagge. Abbiamo fatto tutto quanto potessimo per far girare le cose in maniera diversa. Pensiamo al gruppo dei Ragni di Lecco, che negli anni '70 hanno atteso due mesi in una tenda in una caverna di ghiaccio che il cielo si schiarisse per affrontare la montagna e vincerla. La lezione di umiltà -promettiamo- non verrà dimenticata.
Rimane la speranza, un giorno, di tornare qui e chiedere un verdetto in appello. E in quell'occasione, qualunque sia l'esito, sarà emozionante e grande anche solo pensare che la montagna in quel momento stia per qualche attimo pensando ancora una volta a noi.

domenica 6 gennaio 2013

Where the streets have no name

La cittadina di El Chalten è stata costruita 30 anni fa ed è quindi talmente nuova che alcune strade non hanno neanche un nome. Cercavamo il nostro alloggio, po, persi tra le casine colorate con il tetto di lamiera, abbiamo chiesto a un villico se quella che stavamo percorrendo fosse la nostra strada. La sua risposta, indicando più avanti, è stata: "quella là si chiama Los Chorritos, questa non ha un nome."
La cittadina di El Chalten ha un solo bancomat, che peró ha sempre esauriti i contanti.
La cittadina di El Chalten ha delle strade molto larghe, ma quasi nessuna macchina.
Sulla Lonely Planet viene indicato un locale come la miglior pizzeria della città, curiosamente senza notare al contempo che sia anche l'unica.
La cittadina di El Chalten ha una chiesa (Santa Maria della Patagonia), dove il parroco di El Calafate (200km da qui) arriva ogni due lunedì per celebrare la Messa alle 19. La chiesa ringrazia i signori Pablo ed Eduardo per la cura del giardino.
La cittadina di El Chalten ha le strade piene di cani randagi, che sono però molto affettuosi.
Prima di entrare nella città, tutti sono obbligati a passare dalle guardie del parco de los Glaciares per un rapido briefing. Non si conoscono altri motivi per arrivare qui che non siano la visita del parco.
Nella cittadina di El Chalten la copertura wifi, ancorché ricordi la velocità dei vecchi modem 56k, è pressoché totale. La copertura cellulare è invece assente.
La cittadina di El Chalten accoglie nelle proprie strutture ricettive numerosi stagisti degli istituti alberghieri di Buenos Aires, forse ignari di cosa li aspetti.
Nella cittadina di El Chalten l'agnello è straordinariamente buono, e infatti non sa di agnello (oppure sono i nostri a non sapere di agnello, quello vero, patagonico).

Ci piace stare in questo posto, base per trekking che finiscono nelle nuvole, tra le montagne che hanno fatto la storia dell'alpinismo, tra vincitori e tragedie, tutti parimenti eroi.
Ci piace sapere che esistono posti, nominalmente cattolici, dove accedere ai sacramenti è un evento straordinario, perché ci aiuta a comprendere la nostra cortezza di vedute se giudichiamo una messa difficile da prendere perché è alle 10 di domenica mattina.
Ci piace fare migliaia di chilometri per vedere che esistono ancora delle frontiere, che la natura quando vuole ha il sopravvento sulle vicende umane.
Ci piace vedere che nulla, in realtà, è mai scontato nelle zone più remote di questa terra.

mercoledì 2 gennaio 2013

Cene di pregio

Buenos Aires, ore 20.
Dilemma cena. Siamo d'accordo che non vale molto la pena investire in una cena di alto livello, considerato che la moglie è incapace di sentire i sapori a causa di un invadente raffreddore, mentre il marito è sconvolto dalla gigantesca camminata del pomeriggio ("andiamo alla Plaza de Congreso e torniamo indietro? Sono quattro passi!").
La padrona di casa ci consiglia un ristorante nelle vicinanze. Ci avviciniamo. Forse buono, ma decisamente da polli in batteria: tanti tavoli, molte tovaglie bianche, tanti (troppi) camerieri.

Andiamo oltre. Strade sfasciate, gente che chiacchiera agli angoli.
D'un tratto il locale che ti immagini da posti come questo: sedie tutte diverse, tavolacci sparsi, vecchi ventilatori, foto di famiglia attaccate al muro, un vecchietto a servire.
È lui. Così risolviamo per pochi euri la serata: una reale milanesa portena con papas fritas, empanadas come se non ci fosse un domani e una cervezita (questo avevo chiesto, poi per tutta risposta il vecchio è arrivato con una boccia da un
litro di Quilmes, che ho onorato fino all'ultima goccia).

martedì 1 gennaio 2013

Feliz año nuevo

Atterrati.
Buenos Aires è una città immensa, anche se alla fine noi stranieri vediamo solo i quartieri celebri e ignoriamo l'enorme distesa di case che si stende verso l'interno, protesi nel cuore dell'Argentina.
Il bus che ci porta verso il centro attraversa una gigantesca autostrada che taglia chilometri e chilometri di abitazioni.
È la notte di capodanno. Tutte le luci sono accese. Di molti appartamenti è possibile vedere i salotti illuminati, pieni di chissà quanta gente pronta a festeggiare. Vediamo i palazzoni, le classiche casette quadrate sudamericane con il tetto piatto, perennemente in costruzione. Vediamo strade deserte. Vediamo sotto un ponte l'immagine dolorosa di una distesa di disperati che dormono su materassi di fortuna, a cui sembra importare poco dell'arrivo di un nuovo anno privo di promesse. Entriamo nell'intimità di posti anonimi, che brulicano di vita.
Manca un'ora alla mezzanotte e si sentono i primi botti, che un forte vento dal mare porta via. Buenos Aires ci accoglie con le sue strade larghe, la sua umanità festosa e disordinata e ci sembra di essere stati qua pochi giorni fa.
Comincia il viaggio, o forse è lo stesso viaggio che non è mai finito ma solo ora ce ne accorgiamo.
Tanti auguri.